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Notiziario dell'Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Brescia – aut. Tribunale di Brescia n. 195/1962

Dottor Alessandro Turra

LA MISSIONE DI ESSERE MEDICO
SEMPRE E PER SEMPRE

Essere medico o diventare medico? Una domanda che sembrerebbe offrire spazio ad una disquisizione filosofica o di semantica lessicale, ma nella realtà interroga tutti noi sul ruolo svolto da chi ha pronunciato il Giuramento di Ippocrate.

Diventare medico è un percorso impegnativo e lungo che richiede tempo per raggiungere il titolo e poter esercitare la professione, ma l’”Essere Medico” è uno status che supera la necessaria e richiesta formalità del titolo, per entrare in una dimensione metafisica che si intreccia con la vita: “la dimensione umana”.

Questa dimensione umana è un sentire profondo che dovrebbe essere in ciascuno di noi e che dovrebbe crescere ed amplificarsi soprattutto nel percorso di crescita e formazione di ogni medico, maturando durante gli studi sulle malattie e con la conoscenza e l’avvicinamento al paziente, unico e vero soggetto destinatario della nobile professione.

Spesso leggiamo di persone scomparse il cui ricordo è legato a ruoli, a cariche istituzionali, a illustri casati nobiliari o a titoli accademici, e ci sfugge la vera sostanza e lo spessore della persona mancata.

Alessandro era una persona molto lontana dalle “luci della ribalta, era cresciuto in famiglia con valori solidi e concreti, sapendo sempre quanto fossero importanti un gesto e un aiuto prestati verso il prossimo, toccando con mano l’importanza di essere umile e semplice. Queste doti le aveva affinate avendo un grande esempio nei nostri genitori. Nostro padre affrontava con concretezza i problemi e con le sue mani riparava le cose e ne creava di nuove con ciò che aveva a disposizione. Mia madre, esperta dei numeri, gli insegnava con il suo esempio la meticolosità, l’ordine e la precisione nel gestire il tempo, gli impegni e le scadenze.

Così Lui si impegnava con determinazione, ma sommessamente e senza clamore, nelle cose della vita, nella scuola, nello sport, e nella musica con il suo amato pianoforte attraverso il quale esprimeva il suo essere profondo.

Al termine degli studi liceali i suoi professori lo vedevano architetto (per la sua mano ferma e precisa) o ingegnere (per la sua mente scientifica), ma lui già da allora era stato affascinato dalla scienza medica e dalle prime informazioni sulle “cellule staminali.

L’attività di ricerca in questo settore della medicina era per lui affascinante perchè avrebbe potuto offrire speranze di guarigione alle persone.

Dedicò così l’estate per affrontare l’esame di ammissione alla Facoltà di Medicina e per essere certo di avere comunque possibilità di raggiungere il suo scopo sostenne anche l’esame di per l’accesso al Corso di Studi in Odontoiatria. Superò entrambi, ma comunque scelse Medicina.

Iniziò così il suo impegno totale nello studio della scienza medica e nella conoscenza di quello che sarebbe divenuto il suo ospedale entrando nei reparti, osservandone il lavoro, ascoltando i medici che lì operavano, ma anche conoscendo “il sentire e il vissuto di chi entrava in quel luogo con il suo carico di dolore per poterlo alleviare e trovare qualcuno che potesse fugare le proprie paure.

Conobbe durante i suoi studi il Dott. Giuseppe Navoni che in qualità di presidente delll’AIL Brescia lo rese partecipe di una conferenza sul tema delle cellule staminali. Ricordo ancora il suo entusiasmo incontenibile nel poter partecipare e ascoltare esperti nella materia che sarebbe poi divenuta motivo della sua vita: l’Ematologia ed il relativo trapianto del midollo.

Quante notti passate sui libri, quante rinunce, quanti week end o festività trascorse a prendere appunti e ad effettuare ricerche per conoscere la malattia, per conoscerne la semeiotica con un’unica missione: assistere e curare l’uomo.

Raggiunse la laurea rispettando i tempi previsti dal corso. Ottenne borse di studio per meriti studenteschi promosse da una importante Fondazione bresciana che gli avrebbe anche permesso di proseguire la sua formazione all’estero in Germania, ma lui sentiva che il suo destino era legato al suo territorio e al suo Ospedale. Entrò nella Scuola di Specializzazione in Ematologia classificandosi secondo, così ottenendo l’ultimo posto disponibile per la Lombardia Orientale dopo che le nuove normative nazionali avevano giusto quell’anno ridotto le possibilità pubbliche di accesso alla professione. Anche in questo caso si superò… così come quando ottenne l’assunzione in qualità di dirigente medico presso gli Spedali Civili proprio nel reparto di Ematologia dedicato al trapianto del midollo ove ha dedicato ogni giorno della sua breve, ma intensa vita sino al 6 Giugno 2022.

Da allora tutto si è fermato, per noi famigliari, per l’amore della sua vita, per gli amici e per tutti quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Queste parole potrebbero sembrare presuntuose o di parte, ma mi sono spinto a scriverle per parlare di Alessandro perchè tante persone dopo quel giorno hanno manifestato un sentimento di gratitudine e una cascata inarrestabile di testimonianze della vita professionale/umana di mio fratello.

La sua preparazione, la sua serietà e la sua umanità erano e sono indiscutibili, ma la sua straordinaria capacità di entrare in sintonia con gli uomini era una dote che mi ha sbalordito ascoltando con quanto trasporto e sentimento le persone parlassero di lui.

Un collega medico, mi ha avvicinato riferendomi che Alessandro lo aveva guarito. Quando gli fu diagnosticata una malattia ematologica il primo che si avvicinò a lui fu mio fratello che entrò nella sua stanza e si sedette sul letto accanto a lui. Gli parlò con empatia trasfondendo quella conoscenza della materia ed indicando il percorso terapeutico che avrebbero affrontato insieme.

E’ qui che nasce il primo approccio alla cura, è qui che un uomo, spaventato e fragile di fronte alla malattia cerca una luce, una speranza per la sua vita. Quel collega è guarito…

Anche nella mia professione di avvocato le coincidenze della vita mi hanno portato a conoscere persone che a margine della mia attività mi avessero chiesto se fossi fratello o parente del Dott. Alessandro Turra. Alla mia risposta affermativa, seguiva la commozione del mio interlocutore che mi riferiva circostanze personalissime. Mi riferiva che Alessandro aveva salvato una figlia, un padre o un congiunto, oppure quando le terapie non avevano ottenuto l’effetto sperato aveva sostenuto i famigliari nel momento del trapasso del loro caro…

A distanza di tempo ricordo quando agli inizi della sua professione in reparto rientrava a casa e piangeva raccontando che una terapia non era stata efficace e la malattia aveva avuto sconfitto una vita. Lui voleva salvare tutti. Poi comprese che per aiutare anche chi non avrebbe potuto sopravvivere doveva essere più forte della malattia e doveva approcciarsi ai famigliari e al paziente in una modalità ancora più umana senza cedere alla commozione, perchè lì accanto a lui e nelle sue mani scorrevano le vite di una famiglia e lui era un Medico.

Aveva compreso quanto il dolore fosse un elemento imprescindibile delle nostre esistenze e quanto fosse necessario rendere migliore e pi sostenibile il peso della malattia favorendo una collaborazione tra tutti i soggetti che avevano in carico il paziente.

Non mancava momento anche durante le festività in cui dopo il lavoro il suo telefono non squillasse. Alessandro aveva sempre un minuto per tutti e rispondeva sia che fosse un collega di reparto, un infermiere o un medico che necessitasse di un veloce consulto. Usciva dal suo reparto tardi la sera e pensava già a che cosa avrebbe potuto fare per migliorare una terapia, per migliorare la collaborazione con tutto il personale sanitario e socio sanitario del reparto e anche degli altri reparti perchè riteneva che la sua scienza e la sua conoscenza non fossero un bene privato da custodire gelosamente, ma un bene da diffondere e condividere con tutti coloro che lottano contro la malattia all’interno di un ospedale, di un ambulatorio o di una associazione.

Era un condottiero che agiva con il desiderio di raggiungere un ideale di bene e di salute per il genere umano e la sua vita sembrava appunto scritta nel nome importante che portava con onore.

Recentemente una giovane dottoressa medico di base al termine di una mia visita di controllo con circospezione e rispetto mi ha chiesto se fossi il fratello del Dott. Alessandro Turra e subito dopo con viva commozione mi ha riferito che Lei ed il gruppo di suoi colleghi negli anni di formazione universitaria avevano incontrato molti medici di cui non ricordavano più il cognome, ma si ricordavano bene di Alessandro Turra ed avevano avuto l’onore di incontrarlo e conoscerlo.

Lui con la sua umiltà non li aveva fatti sentire semplici studenti a cui dedicare una lezione frontale, ma aveva dedicato loro il suo tempo insegnando argomenti utili e che cosa significasse essere medico.

Anche in questo ha lasciato una testimonianza che vorrei fosse trasmessa alle future generazioni di medici. Essere Medico non è semplicemente divenire medico, ma è una condizione che cresce nella vita professionale avendo mentori in grado di prendere per mano la formazione dei giovani e seminando in loro la sensibilità e la comprensione verso un uomo afflitto dalla malattia.

Alessandro era, è e sarà sempre questa immagine pura e integerrima di che cosa significhi essere Medico:

“essere un uomo di scienza che si siede nel letto di un ospedale accanto ad un altro uomo che soffre e lo prende per mano”.

Arrivederci Alessandro, ti vedremo sempre e per sempre perchè sarai presente in tutti noi e nei colleghi che hai conosciuto e di cui hai toccato il cuore.

Tuo Fratello Stefano

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