di Ferdinando Brandi
È un dolore molto grande per tutti noi che lo abbiamo conosciuto, per me il bisogno e anche il dovere di parlare di lui. Giovanni è stato un amico.
Mi aveva detto qualcosa due anni fa, e lo avevo sentito tranquillo, non dar gran peso; poi la lunga stagione del Covid che ci ha allontanato un po’ tutti.
Un ultimo scambio di messaggi l’anno scorso, a proposito della presentazione di una Associazione sulla salute.
Ha lasciato un gran vuoto di tutto il tempo trascorso, 50 anni da quando ci siam conosciuti, scivolato via, con tutte le cose condivise…i valori…le fatiche…le delusioni anche; perché essere medico è così centrale nella vita, “vocazione” si diceva una volta.
Abbiamo condiviso l’appartenenza ad una “epoca”, in qualche modo speciale; si dice forse così quando è tanto il tempo trascorso.
È che…ci è avvenuto di entrare nel mondo della professione dentro quella speciale ondata che apriva le porte degli Ospedali per via della Legge Mariotti del 1968, e di poterci formare nel fermento di una stagione così ricca di sapere, cultura, costruzione che sarebbe sfociata nella Riforma Sanitaria del 1978, con tutto quello che allora soprattutto significava. Eravamo giovani noi e così anche la nuova sanità che si stava prospettando.
Mi viene spontaneo questo richiamo, un sentimento generazionale, e credo possa essere anche un modo per star tutti più dentro alla Storia stessa di questo nostro Paese, che vogliamo grande.
Ho conosciuto Giovanninel 1971 agli Spedali Civili, e ci siam visti in diverse occasioni nei decenni seguiti, ma è dal 1992-93 che è iniziata una vicinanza di lavoro insieme e con molti altri (tra cui medici, psicologi, assistenti sociali, membri della comunità…) sui problemi dell’alcol.
Ricorsi a lui allora per l’incarico che mi assegnò l’USSL di Brescia di Presidente della Commissione di Alcologia ed egli era allora Responsabile del Servizio di Alcologia nell’ospedale di Leno.
Giovanni è stato a Brescia l’iniziatore e promotore appassionato ed instancabile dello sviluppo dei Programmi Alcologici territoriali, costruiti secondo i principi del modello “ecologico-sociale” proposto dal prof Hudolin, lo psichiatra che negli anni sessanta, ispirandosi alle comunità terapeutiche di Maxwell Jones ed ai club terapeutici sociali di Joshua Bierer, avviò il primo club in Croazia e poi in Italia a Trieste (Hudolin conosceva Basaglia e come lui aderiva al movimento della psichiatria sociale).
Secondo questo approccio, che si ispira ad una visione sistemica, i problemi legati al consumo di bevande alcoliche non vengono riferiti solo alla singola persona, ma a tutta la famiglia, e siccome essi sono molto, molto diffusi è necessario sviluppare adeguati programmi di promozione della salute e di trattamento nella Comunità.
Giovanni Monesi da medico internista, come ancora oggi si fa, prescriveva “l’astensione assoluta dal consumo” ai pazienti con gravi conseguenze fisiche dovute ai loro consumi di bevande alcoliche, salvo poi vederli rientrare per l’aggravarsi della patologia non avendo seguito “il consiglio/prescrizione”. L’incontro con il prof. Hudolin e la sua proposta di trattamento dei problemi alcolcorrelati lo convinse e da allora la prescrizione divenne “frequentare un CAT (Club degli Alcolisti in Trattamento)”.
La frequenza al Club consentiva un cambiamento dello “stile di vita” dei pazienti e delle loro famiglie, una crescita e maturazione che Giovanni poteva verificare essendo diventato anche “servitore insegnante”, ovvero assumendo il compito di facilitare (catalizzare) questo processo di maturazione e cambiamento.
Ma poiché il percorso di cambiamento è complicato e non facile, la metodologia prevede un complesso sistema di formazione (potremmo definirlo Educazione Continua) rivolto ai servitori insegnanti, alle famiglie dei club e della comunità locale, con lo scopo di sensibilizzare ed aumentare le competenze (oggi le chiamiamo “life skills”) sui problemi legati ai consumi di bevande alcoliche e sulla possibilità di superarli (trascenderli) attraverso il miglioramento delle relazioni (approccio sistemico).
In questo sistema complesso, Giovanni Monesi è stato un formatore molto apprezzato anche a livello nazionale; era membro del comitato scientifico della scuola di perfezionamento in Alcologia, costituita da un gruppo di professionisti che hanno affiancato per molti anni il prof. Hudolin e sviluppato le migliori competenze nel sistema formativo.
Ha fatto un grande lavoro Giovanni in questi anni perché sentiva vivi questi principi, e per questo non c’era per lui fatica, stanchezza, rinuncia agli impegni…c’era sempre una naturale generosità.
Giovanni non ha mai lasciato il mondo dei club e del loro sviluppo…innamorato di essi e innamorante; e quanto ha fatto, quanto ha dato, è stato vissuto nella carne ed il cuore di quanti ne hanno potuto vivere i benefici; moltissimi, in più di 30 anni.
Ma non basta dire questo… è importante sapere noi tutti cosa abbia significato questo lavoro, sul piano scientifico ed umano, che mai devono star separati, e come esso realizzasse in pieno le indicazioni dell’Ufficio Europeo di OMS, che già dal 1991 per gravità e diffusione dei problemi dell’alcol in Europa, indicava la necessità di un intervento di prevenzione e di promozione della salute a livello di Comunità.
I problemi alcolcorrelati, ben lo sappiamo, non riguardano solo i danni fisici ma anche le sofferenze personali, che hanno molte dimensioni; e riguardano anche i “valori spirituali”, che son specifici dell’uomo. È il tema naturale prezioso che Hudolin consegna al lavoro dei club nel loro processo di crescita e maturazione. Così nei programmi alcologici, prevenzione, promozione della salute e trattamento hanno da essere tra loro del tutto collegati, un processo ben unitario nel quale l’intera comunità sia impegnata.
Ecco il senso profondo del lavoro di Giovanni risulta ancora più chiaro oggi dopo i tempi tanto difficili che ci han fatto vedere come il rischio sia di tutti e la protezione davvero efficace debba contare su un sapere centrato sulla comunità.
Ed il suo lavoro costituisce anche un esempio prezioso di cui tener conto per le trasformazioni che si dovranno realizzare per la sanità e la salute.