Chiamiamo Giovanni…
Siamo in due o tre intorno al malato e, come spesso accade, in medicina siamo perplessi e confusi. “È un addome acuto, ci vuole il chirurgo”. ”Ma…non ha segni certi di peritonismo”. “Sentite chiamiamo Giovanni”.
Giovanni arriva…con il suo passo leggero, sorride alla suora e agli infermieri.
“Eccomi ragazzi”.
Sposta il lenzuolo, mentre saluta il malato: “Buongiorno sono Lazzaroni, non si preoccupi non le faccio male. Faccia un bel colpo di tosse”.
Ci dà il suo parere e qualche consiglio, saluta il malato rassicurandolo: “È in buone mani con i miei colleghi, faranno tutto ciò che serve e lei starà meglio”.
Questo era, è, Giovanni. L’uomo mite, sempre disposto al dialogo. Gentile, dal latino gentilis di buona stirpe, con i malati, con tutti.
Questo era, è, Giovanni.
Medico per convinzione e tradizione famigliare. Amava il suo lavoro di ospedaliero, nel “suo” ospedale, il Civile. Ma amava anche l’ambulatorio di Contrada del Cavalletto, che era stato di suo nonno e poi di suo padre.
Uomo mite, ma di grande cultura medica e non solo. Il dottor Lazzaroni – specialista in medicina interna, cardiologia e endocrinologia – non era solo il buon Giovanni, era un grande semiologo, vero maestro per più generazioni di medici.
Ma la sua vera passione era il malato. Si accostava al letto con rispetto, quasi con pudore.
E senza esagerazioni, noi che abbiamo avuto la fortuna di frequentarlo per decenni, riconoscevamo in lui un vero tratto di amore, testimonianza laica della sua fede.
Giovanni aveva certamente dei difetti, ma noi non sapremmo indicarne alcuno.
Sarà stata forse quella sua capacità di farti sentire, senza parole, la sua amicizia che lo rendeva unico.
Giovanni se ne è andato circondato dall’amore dei suoi cari e a noi resta per sempre quel “chiamiamo Giovanni” che un è un pezzo delle nostre vite.
Ottavio Di Stefano