Ci sono professioni che i bambini non capiscono, ce ne sono alcune che anche adesso, che sono adulta, che sono insegnante, faccio fatica a capire; fin da piccolissima però mi era chiaro il senso di quella di mio padre.
Il suo stetoscopio era il più magico degli strumenti con cui potevamo ascoltare l’uno il cuore dell’altra. Ero la bambina fortunata che non doveva mai andare dal dottore e che a Natale poteva scartare decine di cesti pieni di dolci colorati. Mi piaceva la sua borsa di pelle che ancora, nonostante la pensione, teneva nel bagagliaio. Ma soprattutto mi piaceva pensare che ci fossero persone che potevano stare meglio grazie a lui.
In casa il telefono ha sempre iniziato a squillare molto presto e a smettere molto tardi, mio padre ha sempre risposto. Anche nelle giornate più lunghe trovava il tempo e l’energia non solo per essere un ottimo medico, ma per essere un ottimo genitore: lo faceva sembrare facile e ora so che non può esserlo stato.
Io non ho mai desiderato seguire le sue orme, ma ho sempre desiderato avere la dedizione, la pazienza e la cura che mio padre mi ha silenziosamente insegnato e che ho ritrovato con commozione nelle parole di chi lo ha ricordato in questi giorni e continuerà a farlo.
Giorgia Papagno