Ritrovare lo spirito goliardico fuori da ambulatori e corsie di ospedale, per il solo gusto di stare insieme. Il dottor Mario Zogno, apprezzato cardiochirurgo ora in pensione, nella sua seconda vita dopo l’addio alle sale operatorie è diventato l’anima della FEDER.S.P.e V., la Federazione dei pensionati sanitari, vedove e superstiti, sezione di Brescia. Una realtà cui ha dato nuovo slancio puntando proprio sulla socializzazione e le occasioni di aggregazione.
Zogno è stato cardiochirurgo per più di 25 anni all’ospedale Civile di Brescia, dove ha lavorato fra gli altri con il prof. Ottavio Alfieri. A Mantova ha dato avvio alla Cardiochirurgia dell’ospedale Carlo Poma, che ha diretto per 11 anni, lasciando in eredità un’équipe completamente autonoma prima di spostarsi all’Istituto Clinico San Rocco di Ome, dove ha concluso la sua carriera. E’ presidente della FEDER.S.P.e V. di Brescia dal 2022.
Dottor Zogno, le attività ricreative che organizzate riscuotono grande successo. Dove è nata questa intuizione?
La FEDER.S.P.e V. aveva circa 200 iscritti a Brescia (sono 20 mila in Italia), ma dopo il Covid il numero si era ridotto a 115. Per favorire l’aggregazione ho pensato di inaugurare una chat con diversi contatti, proponendo alcune attività insieme. L’invito è evidentemente piaciuto ed ha preso piede, tanto che oggi ai 115 componenti originari se ne sono aggiunti altri 120 che ci seguono tramite la chat.
Che attività progettate?
Organizziamo piccoli viaggi di un giorno o due, appoggiandoci ad un’agenzia che cura la parte logistica e organizzativa: siamo stati alla scoperta di Bologna, l’8 maggio saremo a Padova per visitare la città e la cappella degli Scrovegni, trasferta già da tutto esaurito, con 50 iscritti e pullman pieno.
A settembre sarà la volta di Modena, mentre a ottobre ci aspetta Genova. Organizziamo anche gite sul nostro territorio, come la visita alla Pieve di Nave, oltre a cene e momenti conviviali.
Per rinnovarvi avete ampliato le proposte associative…
La FEDER.S.P.e V. ha fra gli obiettivi la tutela dei diritti dei sanitari pensionati, l’informazione e la consulenza agli iscritti. Mettendoci in ascolto delle esigenze che arrivavano dagli iscritti abbiamo impresso alle attività un’inclinazione ludica prima ancora che sindacale, per trovare un punto di convergenza comune. Oggi il sindacato rappresenta la “cornice” entro cui trovano spazio molteplici attività fra cui viaggi e cene, all’insegna del cameratismo.
Com’è ritrovarsi fuori da corsie e ambulatori?
E’ molto diverso, in ospedale conoscevi i colleghi di altre specialità per le consulenze o al timbro, ma era difficile stabilire rapporti di amicizia e di vicinanza. Qui invece l’atmosfera è più goliardica, l’obiettivo comune è ritrovarci ancora insieme. Fra i partecipanti alle nostre iniziative, insieme allo “zoccolo duro” che è rappresentato dai medici ospedalieri degli Spedali Civili, ci sono molti medici di medicina generale, fra cui è importante ricordare la dottoressa Marina Zani, che cura tutta l’organizzazione delle gite. Fondamentale, inoltre, è la collaborazione dell’intero Consiglio della FEDER.S.P.e V. di Brescia, costituito dal vicepresidente, dottor Armido Quadri, dal tesoriere dottor Paolo Frata, dal segretario dottor Geppo Bulgari, dalle dottoresse Mariella Bonetta, Ida Foresti, Lucia Lazzari e dal professor Ezio Lodetti.
Cosa cercano i medici in pensione?
La maggior parte non ha abbandonato il mestiere di medico, ma continua ancora ad esercitare in libera professione, cercando al contempo occasioni per arricchire la propria vita culturale, socializzare e fare gruppo. Io invece mi sono tolto: mi dedico ai nipoti e faccio volontariato nella Croce Rossa militare. Talvolta faccio il perito di parte su richiesta di colleghi o strutture. Credo comunque che il legame con l’identità dell’essere medico raramente vada perduto del tutto.
Come cardiochirurgo sei sempre stato in prima linea. Non ti manca la sala operatoria?
Non mi manca il mio lavoro. Ho incubi ancora adesso, la notte: sogno cuori che non ripartono dopo l’intervento, sanguinamenti inattesi, paure ataviche per un cardiochirurgo. Allora mi arrabbio e mi sveglio. Io sono sempre stato uomo da sala operatoria. Ed è un lavoro che ti espone a grandi responsabilità (non a caso la prima domanda che si fa quando un paziente non sta bene è “chi l’ha operato?”).
Ricordo le notti interminabili passate in Rianimazione: ho sempre pensato che al malato devi stare accanto, perché se ha qualcosa lo intercetti subito e lo risolvi. Certo tutto questo ha un prezzo molto alto in termini di tensione e di stress. Di cui non ho nessuna nostalgia.