Intervista a cura di Gianpaolo Balestrieri e Lisa Cesco
L’amore per la fotografia risale agli anni Cinquanta, trasmesso dal padre che stampava in casa i negativi scattati con una Rolleiflex 6×6, mentre l’attrattiva per la storia è affiorata ai tempi del liceo. Inclinazioni che per Giovanni Carini, pediatra ospedaliero di lungo corso, sono diventate interessi per la vita dopo la pensione.
All’Archivio di Stato di Brescia ormai è di casa per le ricerche sul campo che conduce sui temi della storia locale. “Per lunghi periodi faccio orari di ufficio”, dice scherzando (ma non molto). Ne sono nati anche alcuni libri a sua firma, a documentare un impegno che dura nel tempo: la prossima ricerca è già in cantiere, ma resta protetta dal riserbo che lo contraddistingue.
Dottor Carini, partiamo dalla tua ultima ricerca, che ha permesso di aggiungere un tassello alla storia della Brescia del Quattrocento.
E’ una ricerca svolta per amicizia e passione su Palazzo Cimaschi di via San Francesco in città, noto per i celebri affreschi di Lattanzio Gambara al piano terra, mentre incerta era l’origine della dimora. In occasione della ristrutturazione del 2010, vennero alla luce alcune arcate con capitelli quattrocenteschi, compatibili con un periodo di espansione della città fuori dalle vecchie mura medievali. L’insegna scolpita nella pietra, due spighe di grano incrociate, era suggestiva per una famiglia di rilevanza. Le ricerche condotte all’Archivio di Stato, durante circa 8 mesi, hanno permesso di attribuire lo stemma araldico alla famiglia Valossi, di individuare la loro abitazione nel luogo di ritrovamento dei resti e di delineare la storia del casato dal XV secolo fino all’estinzione a fine Ottocento. Il lavoro, pubblicato lo scorso dicembre sulla rivista Misinta, ha inoltre ricostruito le trasformazioni avvenute nei secoli di palazzo Cimaschi e accordato alla famiglia Chizzola la committenza degli affreschi del Gambara.
Venendo invece alla tua, di storia, sei stato pediatra ospedaliero per circa trent’anni, prima a Leno e poi dal 1985 all’Ospedale dei Bambini di Brescia, lavorando prima con il prof. Ugazio e poi con il prof. Notarangelo. Dopo la pensione hai chiuso con questa professione: non trovi più interesse nella medicina?
La formazione di base rimane, ma in campo medico la velocità di innovazione scientifica richiede un aggiornamento costante sempre più complesso, necessario per chi prosegue nella professione anche dopo il pensionamento, altrimenti limitato a una gratificazione personale.
Perché hai scelto Medicina?
Mio padre era farmacista e sperava che diventassi medico. Quando è stato il momento di scegliere, in Statale a Milano, ero indeciso tra Architettura e Medicina: alla fine la seconda ha prevalso. All’inizio degli anni Settanta, prima della laurea, mi sono impegnato per circa 3 anni come volontario per l’associazione internazionale Frères des Hommes, nelle Ande in Ecuador e in una favela in Brasile. Al rientro, non è stato facile riadattarsi alle abitudini di vita europee, inoltre il mio obiettivo era quello di tornare in quei Paesi come medico. Ho studiato senza sosta per due anni poi, una volta laureato, la vita ha preso un altro corso. Da un lato è venuta meno la spinta per ripartire, dall’altro ho avuto l’opportunità di concorrere per un posto di assistente pediatra.
Nel frattempo hai sempre coltivato i tuoi interessi culturali, che sono diventati anche degli apprezzati volumi di fotografia e storia, come I segreti giardini di Brescia e Gli antichi Ronchi di Brescia.
Il libro sui giardini nasce da un censimento sui giardini cittadini fatto dall’agenzia Urbe nei primi anni Novanta. Le titolari dell’agenzia mi proposero di collaborare per corredare i testi con immagini e, nel tempo libero dal lavoro, girai la città per effettuare gli scatti fotografici. Il progetto iniziale non andò in porto e, dopo molti anni, una volta in pensione, mi sono ritrovato con centinaia di immagini inutilizzate. Da qui l’idea di un volume fotografico corredato di schede sintetiche, pubblicato nel 2008. In quell’occasione ho avuto un primo avvicinamento alla ricerca storica, orientato da un amico che lo faceva per professione.
Soprattutto il libro sui Ronchi ha richiesto un importante lavoro di ricerca sulle fonti.
Devo premettere di essere nato e vissuto su un ronco. Questo forte vincolo con i Ronchi mi ha motivato a ricercarne le origini, dato che le pubblicazioni esistenti si limitavano a generici accenni storici. Un importante incentivo è arrivato dalla collaborazione con la Fondazione Negri che ha messo a disposizione il suo vastissimo archivio fotografico.
L’approfondimento bibliografico presso la Biblioteca Queriniana e l’esame dei documenti originari, soprattutto polizze d’estimo presso l’Archivio di Stato, si sono protratti per circa due anni e hanno consentito di ricostruire la storia dei Ronchi. Dopo l’iniziale concessione medievale di disboscamento da parte del Vescovo, il territorio collinare assunse tra XV e XVI secolo una fisionomia precisa, quella del ronco: un appezzamento di terra, spesso terrazzato, coltivato a vite, cereali e legumi (dal ‘700 soprattutto ortaggi), che ospitava un’abitazione per la famiglia dei roncari, i contadini, e a volte per il padrone. In alcuni casi, l’aristocrazia prima e la ricca borghesia poi, costruirono ville per la villeggiatura e per lo svago, in particolare per la caccia. In zone più isolate, i Ronchi furono luogo di romitaggio e di insediamento di comunità religiose, con piccoli monasteri affiancati da chiese e cappelle. I Ronchi parteciparono a molte vicende storiche cittadine e conclusero la loro storia millenaria intorno agli anni Ottanta del secolo scorso, con il ritiro dall’attività degli ultimi roncari, sopraffatti dall’ormai esclusiva destinazione residenziale del territorio.
Dedicandoti a queste attività hai trovato la tua dimensione? Per molti l’identità è strettamente connessa alla professione medica, e non è facile ripensarsi dopo la pensione…
Per quanto mi riguarda, ritengo di essere stato fortunato per aver potuto dar seguito a passioni già coltivate prima del pensionamento. In base alle proprie attitudini, ciascuno può declinare i propri interessi in modo diverso. Se poi fosse disponibile per un’attività di volontariato, sa che, come medico, può trovare innumerevoli possibilità di partecipazione.
Ti sei interessato alla sua storia: che opinione hai di Brescia?
Ha il pregio di conservare importanti testimonianze architettoniche e artistiche che spaziano dall’epoca romana al Novecento, con significative tracce della presenza longobarda. Brescia non si impone per le scenografie di alcune città limitrofe che furono governate da signorie: il suo fascino sta nelle molte cose da scoprire e richiede occhio attento a chi vi si accosta. Spesso le ricchezze artistiche e monumentali si nascondono all’interno dei palazzi privati, non facilmente accessibili. Un discorso analogo lo si può estendere agli aspetti sociali e culturali che tendenzialmente riflettono una certa chiusura di fondo, tipica del carattere dei bresciani, e richiedono un certo sforzo per entrarvi in sintonia.