Notiziario dell'Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Brescia – aut. Tribunale di Brescia n. 195/1962

Seconde vite: Cosa fanno i medici dopo la pensione?

Illustrazione del dottor Raffaele Spiazzi

La professione di medico resta una “passione” e una componente costitutiva della propria identità: per questo in molti continuano a lavorare anche dopo la pensione. Mentre chi sceglie di interrompere l’attività lo fa soprattutto per coltivare altri interessi o per la poca remuneratività.

E’ quanto emerge nel sondaggio promosso dall’Ordine dei Medici di Brescia che ha indagato il tema del pensionamento fra i medici, per mettere a fuoco scelte, aspettative ma anche dubbi e interrogativi che si aprono con le “seconde vite” dopo la pensione.

Il sondaggio è stato inviato a tutti gli iscritti con 62 e più anni – sia pensionati, sia ancora in attività – nel periodo dal 15 al 31 maggio 2024.

Hanno risposto al sondaggio in maniera completa 728 medici (il 35% sono donne). I responders rappresentano il 24,6% del campione totale (pari a 2956 iscritti). Il 72% degli intervistati riceve già l’assegno di pensione. La maggior parte dei partecipanti ha un’età compresa tra 66 e 75 anni

I dati del sondaggio

Complessivamente il 51% dei medici in pensione intervistati attualmente svolge ancora una qualche attività lavorativa.

Ma se fra gli uomini è il 58,8% a continuare a lavorare, fra le donne solo il 32,7% sceglie di svolgere ancora attività lavorativa strutturata.

Interessante notare come, restringendo l’osservazione ai primi anni dopo la quiescenza, sale significativamente la percentuale di iscritti ancora attivi: il 60% dei medici bresciani continua a lavorare dopo la pensione mediamente per altri cinque anni.

La maggior parte dei medici in pensione che lavora lo fa per un numero limitato di ore alla settimana (5-10 ore nel 30,6% dei casi o 11-20 ore nel 23,8%), ma c’è anche un terzo del campione (32.5%) che continua invece a dedicare alla professione una quota significativa del proprio tempo (da 21 a più di 40 ore a settimana).

La forte identificazione con il ruolo professionale è lo stimolo che induce a continuare a lavorare. Le ragioni principali non sono economiche, né legate alla necessità di occupare il tempo in assenza di hobbies e interessi. Si continua a lavorare soprattutto perché la professione di medico resta una “passione” e una componente costitutiva della propria identità (vale per l’86% degli intervistati).

I medici in pensione che non svolgono più attività lavorativa rappresentano invece il 49% del campione. Il 79% ha interrotto il lavoro subito dopo il pensionamento, mentre il 21% l’ha fatto gradualmente, lavorando mediamente per altri 5 anni.

Affiora la presenza, se pur minoritaria, di disagio personale all’atto della pensione: la principale motivazione che spinge ad interrompere l’attività professionale è il desiderio di coltivare altre passioni e hobbies, seguita dalla bassa remuneratività del lavoro e dalla scarsa motivazione, legata in particolare alla troppa burocrazia.

Per le donne medico una ragione importante nella scelta di ritirarsi dall’attività è rappresentata dalla necessità di assistere o prestare aiuto ai familiari, di cui fa esperienza più di una dottoressa su tre (36,7%, mentre per gli uomini si ferma al 22,2%), unica motivazione che rivela una differenza nelle risposte in base al genere.

Il “sentiment” dei medici in pensione e di quelli ancora in attività

Alla domanda “Se tornassi indietro…cosa faresti?”, rivolta sia ai pensionati che ai medici ancora in attività, molti rispondono che dedicherebbero più tempo alla famiglia e agli hobbies e sarebbero più attenti agli aspetti remunerativi.

L’85,4% degli intervistati, inoltre, riconosce all’Ordine dei Medici un ruolo rilevante nell’assicurare maggiori attenzioni e impegno nei confronti dei medici in pensione.

Se si concentra l’analisi sui medici in quiescenza, la maggior parte si dichiara soddisfatto nello status di pensionato (68,4% uomini e 59,8% donne).

Le preoccupazioni economiche e il senso di smarrimento sono poco diffusi, mentre il trattamento economico della pensione viene giudicato adeguato nella maggior parte dei casi (67,8%). Solo il 10,4% dichiara di dover continuare a lavorare perché riceve una pensione inadeguata.

Il giudizio sull’attività dell’Enpam è in chiaroscuro: la metà degli intervistati lo ritiene abbastanza adeguato, mentre il 36% non lo giudica sufficientemente appropriato.

Riguardo invece ai medici non ancora pensionati, il 73% coltiva aspettative positive, immaginando la pensione come un periodo di maggiore libertà e meno stress.

Se i medici già in quiescenza ma ancora attivi provano la stessa soddisfazione di prima nello svolgimento dell’attività professionale, chi è in attesa della pensione è meno soddisfatto, più spesso meno appassionato, sopporta con più fatica lo stress nei rapporti con i colleghi e con i pazienti e si lamenta in modo più frequente dell’eccesso di burocrazia. Non solo: il 44% teme che il trattamento retributivo non sarà adeguato alle esigenze future.

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