Intervista a cura di Gianpaolo Balestrieri e Lisa Cesco
Galeotto fu un campo nella Baraggia Vercellese durante la naja. “Con il binocolo ho notato alcune bestie che volavano, e ho incominciato a incuriosirmi. Da quel momento è nato l’interesse ad identificare correttamente ciò che vedevo, le specie che osservavo”. Correva l’anno 1982, e quella passione per il birdwatching, l’osservazione degli uccelli, il dottor Mauro Bailo non l’ha più abbandonata. E se il suo lavoro di medico ha avuto diversi cambi di rotta (perché, per sua stessa ammissione, “non riesco a sostenere la stessa cosa per tanto tempo, dopo un po’ devo cambiare”), il richiamo del birding si è mantenuto vivo nel corso dei decenni, e si è consolidato come “seconda vita” nel tempo della pensione. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua esperienza.
Dottor Bailo, partiamo dalla tua storia professionale…
Mi sono laureato nel 1982 a Milano, e per dieci anni ho lavorato in Chirurgia toracica all’ospedale Civile di Brescia. Poi però ho sentito la necessità di cambiare, e fino al 2008 mi sono dedicato a sostituzioni mediche e visite fiscali. Ho prestato servizio anche in molti Pronto soccorso della provincia, in cui mi sono trovato bene. Dal 2012 il mio percorso professionale ha avuto una nuova svolta, quando sono diventato medico di medicina generale a Erbusco, pratica che ho tenuto per molti anni prima di andare in pensione. Ora continuo con dei lavoretti per necessità, come le sostituzioni di colleghi medici di famiglia: con i pazienti mi trovo bene, forse perché mi piace il rapporto con le persone.
La passione per il birdwatching è scoccata quando era ancora quasi sconosciuto in Italia. Erano tempi pionieristici: come è andata?
L’Italia era molto più indietro rispetto ai Paesi anglosassoni, dove già negli anni Ottanta erano presenti decine di tour operator su queste tipologie di viaggi. Per questo ho cercato di aprire una porta, diventando editore della Rivista italiana di birdwatching, la prima rivista di settore nel nostro Paese, e proponendomi dall’89 come primo tour operator nazionale, con Ornitour, quando un mercato non esisteva ancora.
Mi sono buttato su questa passione diventando capofila e organizzatore di viaggi: il mio raggio d’azione era il mondo, in particolare il Paleartico occidentale, cioè la zona che va dall’Europa al vicino Oriente al nord Africa, la più interessante per i birdwatcher italiani.
Dal punto di vista della sostenibilità economica, tuttavia, questi progetti presentavano indubbie criticità. Ma facendo un bilancio a distanza posso dire che quello che ho perso in denaro l’ho guadagnato in cultura geografica.
Un articolo sul British Medical Journal traccia un parallelo tra il birdwatching e la medicina, evidenziando un’affinità tra l’osservazione meticolosa delle caratteristiche dell’uccello e l’osservazione del paziente che porta alla diagnosi in medicina. Cosa ne pensi?
C’è una base condivisibile in questo ragionamento. Io ad esempio, quando vedo qualcosa in volo, sono portato ad identificare la specie attraverso quello che in medicina si definisce il carattere patognomonico, ovvero quel sintomo così caratteristico da permettere la diagnosi certa della malattia. E’ come se nel mio cervello passassi in rassegna piumaggio, gorgheggio e altre caratteristiche dell’uccello, quasi fossero sintomi e segni che si osservano nella pratica clinica.
La differenza è che in medicina arrivare a una diagnosi precisa non sempre è possibile, mentre il comportamento animale ha dei caratteri di tipicità.
Secondo un altro editoriale del New England Journal of Medicine, invece, il birdwatching aiuterebbe a contrastare il burnout medico…
Su questo aspetto non sono d’accordo: alla fine di una giornata lavorativa di medico siamo stanchi, ma anche dopo un giorno di birdwatching arrivi a sera molto provato, sia per la fatica fisica che intellettuale di identificare le specie. Inoltre, anche se oggi la condivisione delle osservazioni è cresciuta, c’è ancora molta competizione nel settore, forse per la soddisfazione di poter dire “l’ho visto io per primo”.
E’ vero che ora siamo aiutati da binocoli di alta qualità, ma è la testa lo strumento più importante. A contare, infatti, è l’esperienza, insieme al sapere cosa guardare.
Il cambiamento climatico sta modificando lo scenario in cui vi muovete?
Decisamente, se si considera che ormai il Mediterraneo si è “tropicalizzato”, tanto che attualmente molte specie africane nidificano nel sud Italia e in Spagna. Tutto questo è specchio preoccupante del mutamento del clima.
Malesia, Borneo, Nepal, India, fino ai confini della Siberia orientale sono solo alcune delle latitudini in cui ti sei spinto per il birdwatching: quali specie ti sono rimaste nel cuore?
Gli uccelli danno tutti emozione, soprattutto le specie che si vedono per la prima volta, che nel gergo dei birdwatcher chiamiamo lifer. Oggi ci aiuta una piattaforma, eBird, che invia alert giornalieri su uccelli rari o che non hai mai visto. Bisogna peraltro distinguere tra le specie rare e le specie localizzate. Ad esempio il picatarte è meraviglioso, pur non essendo una specie rara ma localizzata nella foresta del golfo di Guinea, tra rocce e silenzi: è un esemplare dal collo bianco, con una parte di pelle nuda sulla testa che assomiglia ad una cuffia e lo fa sembrare un aviatore. Il Gabbiano di Ross, con il suo piumaggio rosa e il collarino nero, mi ha emozionato quando l’ho visto nel ’92 in Canada, proprio il giorno prima di partire: un incontro a 30 metri di distanza, inaspettato ma sperato.
L’organizzazione di viaggi prosegue, magari con altri medici compagni di avventura?
Molto pochi, sebbene oggi il birdwatching sia un’attività in crescita anche in Italia, che richiede comunque tempo e denaro. Non posso certo definirmi un tour operator, diciamo che ancora adesso organizzo qualche viaggio con gruppi di amici per dividere le spese, che non sono poche. Andrò a breve a Maiorca, poi in Angola del nord e a novembre in Malawi. Finora ho visto 2750 specie di uccelli, in Africa sono 19esimo fra i birdwatcher, avendone visti 1600: con i prossimi viaggi punto ad entrare nella shortlist dei primi 10 per il continente africano.
Come ogni birder che si rispetti hai anche tu un local patch, un luogo del cuore?
Ce l’ho, ed è nel bosco di Sant’Anna, qui a Brescia, che fa parte del Parco delle Colline: anche qui qualche volta puoi scorgere un esemplare nuovo, e quando lo vedi ti fa battere il cuore.