È stata mia paziente per quasi 20 anni. Nobildonna senza figli, è morta all’età di 98 anni. Le visite si svolgevano esclusivamente al domicilio, un bellissimo palazzo del settecento del centro storico vicino all’ospedale, a me provinciale sembrava una reggia. Dapprima ero stato medico del marito, me l’aveva affidato la mia primaria che ero laureato da poco; quando morì lei volle che diventassi medico suo.
La vedevo frequentemente: negli ultimi due anni esigeva che io passassi a salutarla ogni sera sebbene non ve ne fosse alcun bisogno. Io l’ho adorata e lei era gelosa di me. Quando mi presentavo inelegante il rimprovero era certo. Nei primi anni commentava garbatamente il mio modo di vestire facendo seguire i commenti con altrettanto garbato insegnamento (“questo va bene, ma andrebbe meglio…”), negli ultimi, ma successe raramente, si dimostrava seccata ché da una signora ci si presenta in modo adeguato.
Fino a novant’anni era andata dal parrucchiere a Parigi. A 95 non licenziò la cameriera che la derubava perché l’entità del furto era ben inferiore al prezzo che avrebbe dovuto pagare per adattarsi a un’altra presenza in casa.
Non mi sono meravigliato quando un giorno ha raccontato delle allucinazioni visive che aveva da qualche mese; erano comparse dopo che aveva iniziato a perdere la vista per una maculopatia ed erano diventate vivide all’aggravarsi del difetto. Erano “gradevoli”: vedeva piazze “come quelle dipinte da De Chirico”, cornici dorate, arazzi, lampioni scintillanti, figure femminili, bambini, fiori, nuvole, onde del mare. Era ben consapevole che ciò che vedeva non era reale, che fossero delle allucinazioni, ed era in grado evocarle e di interromperle volontariamente.
Non aveva avuto nessun problema a raccontarmi quanto le stava succedendo, anzi. Per la bellezza delle allucinazioni mi chiese solo se quello che vedeva fosse un’anticipazione del paradiso. Nobildonna presuntuosa, perché mai avrebbe dovuto andarci?