Lettera al Direttore
Gentile Direttore,
nell’ultimo mese in Lombardia si sono sviluppate due iniziative pubbliche parallele sulla carenza di medici di medicina generale in molti comuni della regione, dove i cittadini lamentano da tempo di essere stati abbandonati. Da un lato la Lega Nord ha montato 500 gazebo nelle piazze per raccogliere firme su una petizione che accusa la gestione ministeriale di incapacità a risolvere il problema; dall’altro contemporaneamente il PD lombardo, antagonista della giunta regionale ma alleato della Lega al governo, ha promosso un’analoga iniziativa on line con l’intento speculare, ovvero di “dare la colpa” della situazione critica al governo regionale.
La proposta del partito di Matteo Salvini segnala una svolta radicale rispetto alle precedenti posizioni di scarsa considerazione per i medici di medicina generale, come quelle espresse dell’onorevole Giorgetti nell’agosto 2019 che alcuni ricorderanno (https://www.adnkronos.com/giorgetti-nessuno-va-piu-dal-medico-di-famiglia_2OQkJfJ8n9XNS9gwBP67Np). In questi 30 mesi si sono succeduti due governi, una pandemia che ha sconvolto il globo ed ora una guerra promette un impatto non meno perturbante. Forse proprio sulla spinta delle proteste dei cittadini rimasti senza medico l’orientamento verso la MG è cambiato: dall’indiretta squalifica alla promozione di un’intera categoria professionale.
Le cause della diffusa carenza di medici sul territorio sono note e si sono aggravate per i ritardi della gestione, nazionale e locale: un blocco del ricambio generazionale per il mancato adeguamento delle borse per il Corso di Formazione specifica, lo scarso appeal della professione per un trattamento economico di serie B dei corsisti rispetto agli specializzandi di serie A, il pensionamento della generazione dei medici del baby boom, il disinteresse dimostrato dai decisori pubblici verso la medicina del territorio emerso con evidenza durante la pandemia., un malessere diffuso per la burocratizzazione della professione e per le tensioni con assistiti e colleghi ospedalieri, dovute a norme farraginose per le quali il medico fa da parafulmine, essendo per giunta bollato come fannullone o accusato di “scarsa produttività” a fronte dell’incremento dei carichi di lavoro e dello stress nel biennio pandemico.
Da una recente indagine nazionale è emerso un dato allarmante sul profondo disagio della categoria: coloro che vorrebbero lasciare la Professione per la pensione sono il 25% tra i 25 e 34 anni e il 31% tra i 35 e i 44 anni. Il presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei medici ha commentato: “Un dato scioccante che fa riflettere e mostra quanto profonda sia la crisi legata alla perdita di fiducia nel futuro ossia alla mancanza di speranza di un domani migliore per la nostra professione” (https://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=104191).
Un altro elemento dimostra l’inerzia della gestione del settore, nonostante reiterati “allarmi” rimasti inascoltati: solo a gennaio 2022 è stato rinnovato il contratto triennale 2016-2018, peraltro non ancora entrato in vigore, vale a dire dopo che anche il successivo accordo 2019-2021 è parimenti già scaduto. Ora entro giugno 2022 si dovrà recuperare un ritardo ultra quinquennale pena il rischio che non vengano erogati i fondi del PNRR per le case egli ospedali di comunità, mettendo in forse una riforma tanto necessaria quanto trascurata da un decennio.
Da una recente intervista dell’assessore Moratti si è appreso che negli ultimi due anni il numero di medici di Medicina Generale che hanno cessato l’attività è raddoppiato rispetto alla media del decennio, com’era peraltro facilmente prevedibile vista l’età e il logoramento dei medici in servizio che induce molti ultra 60enni al pensionamento spesso assai anticipato. Essendo il sottoscritto tra costoro mi si consenta alcune considerazioni sull’esperienza di “uscita” dalla professione dopo quasi 41 anni di attività. La decisione non è stata facile per la consapevolezza dei disagi che avrebbe comportato agli ex assistiti in questa difficile fase di transizione. Onde evitare discontinuità assistenziali ho cercato, nei limiti di competenza e per mia volontarietà, di informare e supportare adeguatamente il passaggio di consegne.
Purtroppo anche per questo compito si è fatta sentire la carenza della normativa. Nelle aziende private abitualmente il lavoratore prima della quiescenza viene affiancato dal giovane collega che lo sostituirà al fine di evitare inefficienze e disfunzioni. Si pensi al significato di potenziali disguidi quando è in gioco la salute personale e alle conseguenze per soggetti fragili o in condizioni psicofisiche precarie.
Eppure anche l’Accordo sottoscritto a gennaio, ma non ancora esecutivo, prevede una procedura di analogo buon senso: al medico uscente verrà anticipata, su base volontaria, parte della pensione maturata contestualmente alla riduzione del numero di assistiti, al fine di consentire nell’ultimo periodo di attività l’affiancamento e il passaggio di consegne ad un collega neoinserito. Questa logica soluzione poteva prevenire molti disagi se solo fosse stata introdotta a tempo debito e non con cinque anni di ritardo. Da qui al 2024 purtroppo medici e assistiti dovranno convivere con una crisi sistemica priva di sbocchi sul breve periodo se non verranno adottati provvedimenti e soluzioni incisive.