Abitava al quarto piano di un appartamento in una casa popolare di un comune della provincia. La richiesta di visita era stata sollecitata dalle assistenti sociali: “disturbi del comportamento con prevalente vocalizzazione in paziente con malattia di Alzheimer” (cioè: paziente ingovernabile, urla in continuazione, notte e giorno, esasperando i familiari e disturbando di vicini).
Arrivo in tarda mattinata, è inverno. Il figlio che mi riceve ha un’evidente disabilità intellettiva; mi accoglie in cucina, sul fornello una pentola di broccoli (già alla prima rampa di scale era facile intuire cosa bollisse in quella pentola). La stanza è un bagno turco, sui vetri delle finestre la condensa impedisce di guardare fuori e il tasso di umidità è talmente elevato da impregnare gli abiti in poco tempo.
La paziente, seduta al tavolo, ha più di 85 anni, è vestita di nero, capelli fini e grigi, unti e non pettinati, la pelle olivastra, è magra, il viso ha rughe profonde. Alle sue spalle una signora, certamente la badante. Come prima impressione dà l’idea di capire poco e non solo perché analfabeta, parla in dialetto stretto ed è sorda. Accanto a lei una figlia, Samantha.
È Samantha che mi racconta della madre. Nata in Sardegna, è venuta nel continente seguendo il primo marito, un balordo, dal quale ha avuto una figlia. Dal secondo marito, non meglio del primo, ha avuto due figli, femmina e maschio.
Vivono della pensione sociale e dell’indennità di accompagnamento di lei, della pensione sociale del figlio e dei supporti domiciliari dei servizi sociali del comune.
Samantha dice che la mamma soffre di “demenza senile” da almeno cinque anni, iniziata con stravaganze, inquietudine, ostilità e irascibilità; racconta che sin dall’inizio la gestione familiare è risultata difficile, tant’è che “Samantha ha dovuto chiedere il part-time per poter stare con la mamma”.
Lei, che abita al piano inferiore, assiste la madre al mattino e nel pomeriggio aiuta in un bar, mentre “Samantha, che vive col compagno a pochi chilometri, sta con la madre il resto della giornata”.
Non riesco a seguire, forse intorpidito dall’odore nauseabondo dei broccoli. Samantha racconta di sé e contemporaneamente di Samantha come fosse un’altra persona.
Non voglio fare figuracce, la lascio proseguire, ma ugualmente non comprendo (Samantha parla di Samantha in terza persona?).
Devo chiedere il perché, di aiutarmi a capire, non penso sia folle. Infatti non lo è e mi spiega che alla madre piaceva a tal punto il nome “Samantha” da darlo a entrambe le figlie, tanto, di padri diversi, avrebbero avuto diverso il cognome.
Caso interessante: mi ha fatto pensare all’ipotesi che le strutture di personalità abbandoniche siano particolarmente a rischio di DS e tendano alla ripetizione per sentirsi al sicuro…