Abbiamo chiesto a un gruppo di giovani medici di raccontarci motivazioni, problemi e prospettive del loro percorso professionale, rispondendo ad alcune nostre domande.
Vi proponiamo in anteprima una sintesi delle loro risposte, che proporremo on line a cadenza settimanale, suddivise per argomenti tematici. La versione integrale dei contributi sarà pubblicata sulla prossima edizione cartacea di Brescia Medica.
Cosa cambieresti nella organizzazione dell’attività lavorativa?
«In linea generale credo che le alte dirigenze debbano tenere in considerazione le opinioni dei professionisti che più di altri lavorano sul campo, quelli che quotidianamente hanno rapporti con i pazienti e che più di tutti hanno idea di cosa non funzioni e di cosa vada implementato: per ottenere una ottimizzazione delle risorse (indubbiamente necessaria) credo serva una collaborazione tra tecnici e clinici (e forse tra i clinici andrebbero scelti quelli che non hanno conflitti di interesse). Ad oggi è palese la dispercezione delle problematiche professionali rispetto agli interessi direzionali.
Penso infine che nell’organizzazione delle singole realtà vada perseguita la continuità assistenziale che mira alla centralità del malato. Fare della buona medicina non vuol dire applicare solo singole linee guida (talvolta peraltro non sempre possibile) ma fare sintesi di problemi clinici, assistenziali, sociali, familiari ed economici e trovare una soluzione specifica per ogni paziente che è prima di tutto individuo: per fare questo serve un regista che decida ciò che va fatto e anche ciò che è meglio non fare (quello che in molti documenti e linee guida oggi viene definito Case manager)». (Daniela Bettini, specialista in Geriatria)
«In una organizzazione lavorativa spesso frenetica, sarebbe utile poter avere maggior flessibilità delle liste di lavoro, in modo da ottimizzare i tempi in cui viene erogata una prestazione: l’obiettivo sarebbe quello di avere meno “tempi morti” possibili, in modo da dedicare il giusto tempo ad ogni paziente, soprattutto in questi anni in cui si lavoro spesso con mancanza di personale». (Luca Facchetti, specialista in Radiologia)
«La buona organizzazione dell’attività lavorativa passa dall’equa distribuzione del carico di lavoro, sia clinico che burocratico, che permetta un orario di lavoro dignitoso. Abbiamo sempre lavorato mettendo il paziente al centro e questo è fondamentale. Tuttavia, è innegabile che per garantire un buon servizio al paziente occorra investire anche sulla “salute” del personale sanitario». (Sara Cherri, specialista in Oncologia)
«Dai non addetti ai lavori ci viene spesso detto che questo lavoro ce lo siamo scelti noi e che quella del medico è una missione: quest’ultimo concetto in particolare non mi è mai piaciuto, perché da un lato “eleva” chi sceglie la professione medica al livello di una sorta di essere superiore, e dall’altro implica che fare il medico significhi accettare di lavorare in qualsiasi condizione senza lamentarsi mai. La nostra non è una missione, ma, per quanto bella e appassionante, una professione come tutte le altre, che come tale deve essere regolamentata e tutelata, garantendo ai lavoratori dei diritti e una buona qualità di vita». (Giulia Zambolin, specialista in Malattie Infettive)
«E’ necessario un importante impegno nella deburocratizzazione del lavoro medico che non significa una deresponsabilizzazione, ma un maggior rispetto e attenzione alla pratica clinica che caratterizza la nostra professione.
Rimarco inoltre il noto problema della medicina difensiva, figlia di un clima di sempre più diffusa diffidenza nei confronti dei sanitari e nei confronti del quale urgono politiche di sensibilizzazione ed una legislazione volta alla loro maggior tutela, in ottica di miglioramento della qualità del servizio erogato». (Federico Bozzi, specialista in Ortopedia)
«L’organizzazione ad oggi è diventata la chiave per riuscire a svolgere in modo adeguato la professione di medico di medicina generale. Investire sul personale, utilizzare nuove tecnologie come per esempio le segreterie virtuali o le app dedicate, per chi all’inizio della professione non può permettersi di assumere personale, sono strumenti fondamentali. Inoltre vanno stabilite delle regole con il paziente riguardo la disponibilità, i tempi di attesa e i canali comunicativi. Una Medicina Generale che risponda soltanto al bisogno percepito e persegua di conseguenza esclusivamente la qualità percepita non è funzionale né alla salute dei cittadini, né alla qualità del sistema in termini di efficienza, efficacia, appropriatezza ed equità e nemmeno alla qualità di vita e lavorativa del medico stesso». (Federica Zanotti, medico di Medicina Generale)
«Essendo un lavoratore autonomo sono abituato a gestire l’attività lavorativa e il tempo libero nella maniera che ritengo più opportuna.
Lavoro per la maggior parte del mio tempo presso un Istituto Clinico privato-convenzionato dove turni, reperibilità, guardie nei week end e ore di lavoro sono ben gestite secondo uno schema preciso.
Questo permette sicuramente di avere una certa libertà nell’organizzazione delle attività lavorative extra-ospedaliere e nella gestione del proprio tempo libero». (Domenico Massaro Cenere, specialista in Oftalmologia)
«Nel mio lavoro sul territorio vorrei avere maggior scambio con i colleghi in quanto uno dei problemi maggiori è quello di condividere e confrontarsi poco, con il rischio di sentirsi soli da un lato e diventare autoreferenziali dall’altro: sarebbe bello creare dei gruppi di lavoro a scavalco tra ospedale e territorio cosi da rimanere sempre aggiornati e allineati». (Valentina Romano, specialista in Geriatria)
«Oggi trovo fondamentale l’aggregazione di medici. Lavorare insieme ai colleghi, potendosi confrontare sui vari casi e condividere il proprio bagaglio di conoscenze ed esperienze, avendo in più la possibilità di assumere personale infermieristico ed amministrativo è necessario per poter svolgere al meglio e serenamente questa professione, allontanando così anche il rischio di burnout. A livello generale vorrei che il medico potesse essere alleggerito dalla burocrazia, spesso gravosa e ridondante, così da aver più tempo da dedicare alla clinica e alle relazioni». (Matteo Bonavita, medico di Medicina Generale)
5. Fine
Cara Giulia Zambolin, concordo con te: la nostra non è una missione. Però NON è una professione come tutte le altre