L’ho incontrata in una delle prime visite ambulatoriali appena laureato, era venuta per dolore alle mani; aveva fatto la lavandaia sin da bambina e l’attribuiva ragionevolmente all’aver lavato panni in acqua fredda. Le dita erano deformate, le articolazioni nodose.
Non si era sposata; viveva in un piccolo comune della bassa bresciana e veniva in centro con l’autobus. Capelli grigi crespi, puliti, ma per niente curati, forse un tempo rossi, vestiva in modo disordinato. Era gravemente sorda, esito di una meningite avuta in tenera età.
All’inizio la vedevo solo in ospedale nelle viste periodiche programmate, poi nei luoghi più disparati. Aveva saputo dove abitavo e spesso la incontravo “casualmente” per strada, vicino a casa.
Inesperto ed entusiasta della mia professione d’aiuto temo di averle concesso qualche confidenza di troppo. Anche il giorno del mio matrimonio l’avevo incontrata fuori casa mentre mi recavo in chiesa e per attenuare il suo dispiacere di non aver saputo della mia festa l’avevo invitata alla cerimonia.
Nei colloqui di visita il contenuto del pensiero era molto povero e povero era il suo linguaggio. Era povera anche economicamente; una delle ultime volte che l’ho incontrata si lamentava delle spese sostenute per riparare la televisione che, anche quando non era accesa, emetteva voci e parole. Aveva provato più volte a farla riparare; un elettrotecnico disonesto ne aveva approfittato e oltre alle finte riparazioni le aveva venduto un televisore nuovo; anche da questo però, seppur spento, le voci uscivano ugualmente, non erano scomparse. Aveva confessato che sentiva voci anche quando era lontana dalla TV, parole di persone non presenti, frasi senza costrutto, non sgradevoli oppure prive di un senso legato alle contingenze.
Non l’ho vista per qualche anno e poi ho saputo che era stata ricoverata in una casa di riposo di un comune limitrofo al suo.
Una domenica ho voluto andare a farle visita. Era molto invecchiata, seduta su una sedia a rotelle, in un silenzioso soggiorno con un’altra ventina di ospiti; era più ordinata di quanto fossi abituato a vederla. Non mi ha riconosciuto. Aveva lo sguardo assente, ma il cambiamento per me immotivato di alcune espressioni del volto mi hanno fatto pensare che sentisse ancora le voci. In quella fredda e silenziosa stanza d’ospizio ho immaginato fosse più fortunata delle compagne, almeno aveva qualcuno che le rivolgeva la parola.