Accanto al disastro ambientale di una intera regione provocato dall’inondazione della Romagna, un altro disastro si delinea in maniera meno evidente, eppure di pari gravità sul piano sanitario e sociale: si tratta della crisi del nostro sistema sanitario universalistico e gratuito.
Questa crisi nasce dall’impatto che la Pandemia Covid ha avuto sulla nostra organizzazione sanitaria, cogliendola in un momento di particolare difficoltà operativa, per il mancato adeguamento del finanziamento del SSN su base annua.
Il secondo decennio degli anni 2000 doveva essere quello del rilancio operativo del servizio sanitario, dopo il grande impegno di ottimizzazione seguito alla individuazione e al superamento in ogni realtà regionale, di disfunzioni organizzative, gestionali ed operative, anche sotto il profilo clinico assistenziale (verifica annuale per ogni regione con eventuale obbligo di un piano di rientro).
I vari Accordi, le Intese e i Patti per la salute stipulati tra Stato Regioni a partire dall’8 agosto 2001 si basavano sull’idea che solo dopo aver corretto queste disfunzìoni lo Stato avrebbe potuto impegnarsi a garantire il fisiologico incremento annuale del finanziamento del SSN, necessario a causa dei due classici fattori dell’invecchiamento della popolazione e della disponibilità di tecnologie sempre più efficaci ma anche più costose.
Purtroppo, è accaduto invece che, nonostante il rispetto da parte della maggior parte delle Regioni di un rigoroso percorso di qualificazione della spesa, le risorse liberatesi a livello nazionale invece di essere, almeno in parte, destinate ai settori della Sanità carenti sul piano dell’offerta assistenziale, sono state invece destinate agli altri settori della spesa pubblica nazionale.
Il peso di questo mancato riconoscimento di risorse aggiuntive in attesa delle quali molte Regioni avevano definito la propria programmazione sanitaria, negli anni successivi (a partire dal 2013- 2014) ha iniziato a farsi sentire. In particolare:
– si è avuto un ritardo nella definizione dell’aggiornamento dei LEA, che solo nel gennaio 2017 è stata formalizzata con il D.P.C.M. 12 gennaio 2017 in materia di LEA, per poi restare sospesa e inapplicata, per circa 5 anni;
– si sono avuti pesanti riflessi nella gestione del personale degli enti del SSN, in primis della componente medica e della componente infermieristica, con la conseguenza che i rinnovi contrattuali, bloccati per un periodo non breve, non hanno potuto svolgere il fisiologico ruolo di promozione e leva del cambiamento organizzativo
– pesanti e analoghe difficoltà si sono avute nel rapporto sia con i medici di medicina generale che con i medici nella specialistica ambulatoriale interna
– l’attività di prevenzione intesa in senso lato ha segnato il passo o addirittura sì è fortemente ridimensionata
– si sono acuite le criticità nel settore dei farmaci e dei dispositivi medici con la relativa spesa
– la sanità integrativa (all’esterno del SSN) e la libera professione intramoenia (all’interno) sono andate ad assumere sempre più un rilievo cospicuo, di fatto un ruolo di sostituzione
– il tema della riqualificazione delle cure primarie nella maggior parte delle Regioni è stato limitato a poche iniziative locali nonostante la consapevolezza che esse si stanno configurando come il crocevia, anzi l’indispensabile punto di appoggio, di ogni seria iniziativa per rilanciare il SSN
– il completamento del processo di riassetto della funzione ospedaliera è rimasto come sospeso.
Su tale situazione critica, al termine del secondo decennio degli anni 2000 è venuta ad impattare la Pandemia Covid. Gli effetti sanitari, ormai ben noti, hanno provocato una più ampia crisi economico sociale in campo nazionale. europeo e mondiale. Il rilievo di questa crisi a livello europeo è testimoniato dal fatto che la UE ha tempestivamente varato un’imponente iniziativa denominata Next Generation EU (NEU – anche detto Recovery Fund) senza eguali per la entità delle risorse assegnate ad ogni Paese per varare un piano straordinario di resilienza e di recupero (PNRR).) Si tratta del piano da 750 miliardi di euro messo a punto dalla Commissione Europea per supportare gli Stati Membri nella ripresa post-pandemica.
Il PNRR italiano proposto dal nostro Governo e approvato a livello europeo, per un importo di 191,5 MLD euro, pur tempestivamente formulato, è diventato fonte di forti preoccupazioni. Le osservazione principali sono: (a) esso non punta sul fattore ritenuto da tutti essenziale: l’integrazione operativa tra i tre grandi comparti della sanità territoriale, della prevenzione e delle cure ospedaliere; (b) si è sottovalutata la peculiarità della fase post Covid: una situazione epidemiologica e assistenziale in cui convivono gli elementi tipici della cosiddetta quarta fase della transizione epidemiologica (rispetto alle tre fasi di Omran) caratterizzata dal differimento degli effetti invalidanti delle patologie degenerative, e gli elementi tipici connessi al manifestarsi di malattie infettive emergenti e riemergenti.
Sul tema della integrazione bisogna esser chiari. Senza una integrazione interna dei servizi sanitari (tra Ospedale, Territorio, Prevenzione) le integrazioni esterne, ad esempio, sul versante ambientale (SNPS) o su quello dei servizi per gli anziani (legge 33 del 2023), al di là delle buone intenzioni, non rafforzano le politiche per la salute e riorientano il nostro sistema sanitario verso un impianto non più universalistico basato sulla fiscalità generale, ma categoriale e socialmente iniquo.
In questa situazione, le cose fondamentali da garantire sono la difesa e il rilancio del carattere universalistico del nostro sistema sanitario. È necessario promuovere un’iniziativa legislativa straordinaria, cioè un atto di rifondazione del SSN, senza escludere che si debba ricorrere a una più stringata legge costituzionale. Insomma, occorre una scelta che segni e garantisca il rilancio del carattere unitario e universalistico del nostro sistema sanitario basandolo su un finanziamento garantito dalla fiscalità generale.
Naturalmente occorre soprassedere al completamento dell’iter per le autonomie differenziate in campo sanitario.
Parallelamente, ma solo in via subordinata rispetto alla prima opzione, si può e si deve lavorare su alcuni punti urgenti e strategici finalizzati a:
(1) prepararsi ad affrontare eventuali riaccensioni di micro e macrofocolai epidemici potenziando le strutture materiali e immateriali (clinico organizzative);
(2) dotare il SSN di una capacità di risposta a questa sfida epocale con riferimento alle strutture materiali (edilizie, tecnologiche, informatiche) e immateriali (capacità gestionali e cliniche) degli enti del SSN;
(3) introdurre, nella rete ospedaliera e in quella assistenziale sanitaria territoriale, elementi strutturali ed organizzativi per assorbire le più frequenti ondate epidemiche/pandemiche che il mutato quadro epidemiologico globale porta a dover considerare;
(4) valorizzare il ruolo di integrazione oltre che di filtro, che l’assistenza primaria e in genere l’assistenza territoriale può svolgere nei confronti della rete ospedaliera, anche in occasione di picchi epidemici, puntando ad una integrazione assistenziale tra le tre macroaree dei LEA;
(5) affrontare le questioni strategiche connesse al mutato ruolo dei Distretti e alle loro più ampie dimensioni territoriali fissate dalle Regioni;
(6) aggiornare periodicamente e tempestivamente il quadro dei LEA in base a una verifica del profilo di sicurezza, efficacia e qualità, rapporto costo-efficacia e appropriatezza clinica e organizzativa;
(7) evitare confusioni tra i concetti di linee di indirizzo, di linee guida, di standard, di requisiti organizzativi, di percorsi, di Piani settoriali e Piani generali, con un’idonea sistemazione giuridica;
(8) adottare iniziative straordinarie ed urgenti per il varo di un piano finalizzato di formazione e di assunzione delle figure professionali carenti;
(9) intervenire sulla sanità integrativa, sulla scorta di una riflessione profonda, fissando dei limiti e dei criteri coerenti con l’impianto generale del SSN.