Mi ha sempre colpito l’eleganza maschile e ancor più l’eleganza nei medici. Ad una cena ero rimasto affascinato da un commensale per il racconto della cura maniacale con la quale il padre medico-condotto si preparava ogni mattina, alle sei, prima di uscire di casa: il rito iniziava con la barba e terminava con l’abbonante acqua di lavanda e la bianca camicia profumata. Quando vedo un medico elegante la fantasia va alle illustrazioni dei libri di storia della medicina: Augusto Murri con cravatta nera, Cesare Lombroso con cravatta bianca, la catena dell’orologio di Sigmund Freud o le giacche di flanella di Carl Gustav Jung. Un uomo elegante mi dà l’idea che rispetti il prossimo, un medico elegante che rispetti i pazienti.
Stamattina sono entrato in stanza a visitare una paziente ricoverata nottetempo per un capogiro a cui ha fatto seguito una caduta e un trauma cranico. Seduto accanto al letto un vecchio signore che si presenta come marito e medico in pensione. Mi dirà di avere 89 anni. Racconta quello che è successo alla moglie, la dinamica della caduta; non nasconde un senso di colpa per non essere riuscito a prevenirla. Non se l’aspettava, non poteva prevederla in alcun modo, ma la caduta avrebbe potuto essere disastrosa.
Parla in modo calmo, preciso, con terminologia un po’ desueta, che oggi irriterebbe se pronunciata da un giovane medico, ma che in lui aumenta il naturale fascino. È elegante, molto elegante, nessuno vedendolo potrebbe pensarlo se non medico: è l’archetipo del medico.
Mentre mi intrattengo ci raggiunge un giovane collega. Trafelato, senza bussare, interrompe la nostra conversazione dicendo che finalmente è arrivato il referto istologico di una biopsia di un paziente dimesso la settimana prima, negativo (notizia urgente, sic!). Lo guardo, non ha la barba fatta da almeno un paio di giorni, il camice slacciato che lascia vedere una “t-shirt” e un paio di jeans lisi. Ai piedi un paio di “comode” scarpe da ginnastica (sneakers).
Non posso non fare il confronto tra l’eleganza del vecchio medico e la sciatteria e inopportunità del giovane; mi viene in mente il recente dibattito sul venir meno del prestigio e sulla rappresentazione del medico nel mondo d’oggi e sulle motivazioni che hanno portato alla perdita di ruolo sociale. Non credo che l’abito ne sia stato la causa, ma se è stata una conseguenza, si poteva evitare.
Se uno entrasse nella stanza dove ci troviamo per cercare un medico non avrebbe dubbio a chi rivolgersi.
Ho 72 anni, mi sono ritirato volontariamente dalla professione nel 2019, ed ho sempre utilizzato camice abbottonato e camicia-cravatta durante le visite ambulatoriali ( in reparto non sempre, essendo dentro e fuori dalla sala operatoria) . Anche quando i miei malati si presentavano con berretto calato , canottiera , bermuda e infradito.
Sono quindi in teoria in completo accordo col Collega Rozzini. Doveroso però è anche stare allineati, almeno parzialmente, coi tempi. Fra i miei colleghi , qui ed all’estero ,ho incontrato grandi professionisti in jeans e sneakers, e altri avviluppati in costosi gessati, beceri ed inconsapevoli dell’argomento scientifico di cui si trattava. Per molti giovani medici il dress-code probabilmente è considerato meno importante della conoscenza e della competenza professionale ( che sono molto presenti nei giovani medici ). Fermo restando che principi elementari di convivenza sociale ( le buone maniere d’antan) e rispetto di gerarchia ed anziani dovrebbero essere un acquisizione scontata. Certo che dove le famiglie hanno fallito, l’Università può fare poco.