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Notiziario dell'Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Brescia – aut. Tribunale di Brescia n. 195/1962

Non lasciateci soli

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera della dottoressa Sara Palmieri, apparsa sui media e condivisa da moltissimi colleghi.

Questa settimana è iniziato l’evento Bergamo Brescia città della cultura italiana 2023.

C’è un bellissimo video di presentazione che si apre con due immagini emblematiche: la processione dei carri dell’esercito che porta via le salme da Bergamo e l’ospedale civile di Brescia illuminato dal tricolore.

Siamo a marzo 2020.

Inizia probabilmente la pagina più buia della sanità italiana.

L’ospedale civile in pochi giorni verrà stravolto e diventerà il più grande ospedale covid del mondo.

Assisteremo al crollo della medicina territoriale. I medici di base abbandonati a se stessi, senza indicazioni nè presidi. Intere zone prive di riferimenti sanitari, con i cittadini che si riversano sulle strutture centrali già in sofferenza.

Assisteremo al vero volto della sanità privata, che cerca di trincerarsi e non perdere produttività. Ci vorranno 20 giorni e una ricca offerta economica prima che aprano i cancelli ai malati covid.

E assisteremo al crollo del Servizio Sanitario Nazionale. Che trabocca di malati, che non ha posto e ossigeno per tutti, che non è preparato, non ha i mezzi, le strutture e le persone.

Anni di tagli e mortificazioni, di scelte scellerate, che in questa regione hanno lo stesso colore da almeno 30 anni e vedono incredibilmente ancora ben saldi i principali protagonisti degli eventi che sto raccontando.

Se siamo qui oggi, a raccontarcela, se il sistema ha retto, è grazie al personale sanitario, che non ha mollato il colpo, nonostante fosse già in una situazione critica. Per cercare di salvare tutti.

La politica non c’era o faceva danni, questo lo stabilirà la magistratura. Mentre i medici, gli infermieri, i tecnici e gli OSS non arretravano di un passo davanti allo tsunami, lavorando in condizioni paragonabili ad un ospedale di guerra, senza conoscere orari, riposi o la minima sicurezza.

Sono 379 i medici morti di Covid. Fra tutti, ricordo Gino Fasoli, bresciano. Un medico di base in pensione, richiamato in servizio per aiutare a coprire i colleghi malati o che stavano lavorando in ospedale. Gino è morto, il 21 marzo 2020, di Covid.

Ma nonostante tutto questo, abbiamo sacrificato la nostra vita personale, affettiva e familiare, perchè questo è il nostro lavoro. Questa è la nostra etica. Che va bene in una situazione di emergenza, ma non può e non deve essere considerato uno standard.

La risposta della politica è stata quella di consolarci e rabbonirci con la retorica dell’eroe, ma poco o niente è stato fatto per aiutarci realmente nè per porre rimedio alle paurose crepe che abbiamo davanti.

Tra i cocci che ci sono rimasti dopo 3 anni, emergono le spaventose liste d’attesa e il drastico peggioramento delle nostre condizioni lavorative. In tutta Italia.

Ancora oggi i turni di lavoro sono al limite della legalità, mancano le ferie e i riposi, per sopperire alla carenza di personale. A dicembre al pronto soccorso del policlinico universitario di Udine lavoravano con oltre cento pazienti al giorno in attesa. La notte fra l’11 e il 12 dicembre, la dottoressa Lucia Damiano lavora ininterrottamente per 14 ore, con un afflusso enorme, fra una marea di stupidaggini e 3 arresti cardiaci ripresi. Lucia, esausta, torna a dormire a casa finalmente. Dopo qualche ora, la figlia aprirà la porta alla zia chiedendo di non disturbare che “mamma riposa”. Lucia, 49 anni, in realtà è già morta, nel sonno.

Negli ultimi 3 anni, 21 mila medici hanno abbandonato il SSN, si stima che quasi 100 mila lo faranno nei prossimi anni. Vanno a fare i gettonisti, a lavorare nel privato o all’estero. Perché si lavora meglio e si viene pagati di più, non a caso i medici italiani statali sono fra i meno pagati d’Europa. La concorrenza col pubblico è spietata e sembra non interessare nessuno.

La retorica dell’eroe, dicevamo, pulirsi la coscienza con le monete da 2 euro e le statue, sono solo un balsamo effimero per romantici creduloni, ma non possono compensare il pesantissimo prezzo che paghiamo nelle nostre vite. La solitudine, l’isolamento, la frustrazione, la tensione, la stanchezza. Una collega anonima racconta che per 4 giorni di fila non è riuscita a vedere i propri figli da svegli, fino ad un pomeriggio in cui crolla piangendo sul letto. E la figlia di 5 anni la abbraccia, le accarezza la testa e la rincuora “andrà tutto bene”.

Ma questo non è giusto, non è umano. Perché il nostro è un lavoro e non una missione. È una professione che ci pone a contatto continuamente con la sofferenza, il dolore e la morte. Per gestire tutto questo, anche emotivamente, e lavorare meglio, abbiamo bisogno di dedicare tempo alla vita: la nostra.

L’università di Milano Bicocca ha stimato che il 72% dei medici italiani è in una condizione di burn out, ansia o depressione. Non un collega solo è arrivato a compiere il gesto estremo. Ma nessuno ci aiuta. Nessuno ci ascolta. Siamo rimasti da soli.

E mentre si cerca di coprire la falla con medici gettonisti, non specialisti, non controllati e strapagati, agli ospedalieri si chiede sempre di più: turni oltre l’orario di servizio, ambulatori aperti a oltranza, recupero e addirittura aumento della produttività rispetto al pre Covid. Non ve lo devo spiegare io come questo non migliori la qualità e l’efficienza delle nostre prestazioni, anzi. E i medici si licenziano sempre di più, sfiniti, incazzati, frustrati. Aumentando ancora di più il carico su chi resta.

Ed è un loop infinito.

I pazienti non si sentono seguiti, non trovano spazio, si riversano nei pronto soccorso sempre più affollati, crescono l’esasperazione e la tensione, alimentate anche da una assurda e raffazzonata narrazione della stampa. E sono sempre di più le aggressioni al personale sanitario: dalla collega in guardia medica strangolata per aver suggerito un trattamento, al medico di reparto picchiato per aver comunicato un decesso, fino al medico di PS ucciso a colpi di accetta nel parcheggio dell’ospedale.

Riversano su di noi la frustrazione e il disagio che la politica ha creato.

Ed è ora e tempo che la politica si assuma le proprie responsabilità e risolva questo dramma.

Non lo chiedo per me. Fatelo per Gino, per Lucia, per Alessandro, per i medici aggrediti perché svolgono il loro lavoro in scienza e coscienza, per tutti i medici che ancora credono nella sanità pubblica e stanno cercando di sopravvivere. Fatelo per tutti i malati che non riusciamo a curare adeguatamente e per tempo. E in fin dei conti, fatelo per i 45 mila morti di Covid in questa disgraziata regione, che un po’ glielo dovete.

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