Intervista a cura di Gianpaolo Balestrieri e Lisa Cesco
Mai trascurare i dettagli, le sfumature. Perché in medicina d’urgenza anche un caso apparentemente banale può nascondere insidie inattese. Quindi «mente aperta e “fonendo” al collo, sempre. Di fronte al malato abbiamo innanzitutto occhi e orecchie da sfruttare». A volte è un particolare – se lo sappiamo osservare con attenzione – a darci la traccia giusta da seguire.
Giorgia Muzi è specializzanda al quarto anno in Medicina di Emergenza Urgenza nella Scuola dell’Università degli Studi di Brescia diretta dal prof. Massimo Salvetti. E’ entrata in specialità nel gennaio 2021, ha vissuto la coda della pandemia da Covid. Il suo accento morbido tradisce le origini umbre: dopo la laurea in Medicina a Perugia, e alcune esperienze nella medicina del territorio, ha partecipato al bando per la specialità nello stesso ateneo, non riuscendo per un soffio ad entrare nella Scuola della sua città.
Cercava una formazione di qualità, le è stata consigliata Brescia per la bontà della Scuola, e lei non ci ha pensato due volte a fare le valigie per trasferirsi al Nord.
Una scelta controcorrente, la sua, se si scorrono i dati sulle borse rimaste scoperte in questa specialità, che si conferma scarsamente attrattiva per i giovani medici. «Io non ho scelto la Medicina d’Urgenza, ma sono stata scelta da lei. E’ stato casuale questo nostro incontro – racconta – La scintilla è scoccata quando ho capito che questa attività – che all’inizio non sapevo si chiamasse Medicina d’Urgenza – rispondeva alle mie necessità. In questo mi ha aiutato, già prima della laurea, frequentare come medico volontario un reparto seguito dagli urgentisti, con cui poi ho fatto la tesi. La Medicina d’Urgenza viene spesso considerata un ibrido, è poco conosciuta – anche dagli studenti di Medicina e dai colleghi più giovani – e non per quello che è davvero».
Cos’è, dunque, questa disciplina per cui si fatica a trovare medici da formare e inserire in organico? «E’ un ambito stimolante perché vedi casi molto diversi fra loro, situazioni che possono avere un’evoluzione repentina e imprevista: i tempi sono ristretti, devi pensare veloce, non farti ingannare dall’errore di fissazione, cercare di inquadrare la situazione e organizzare ciò che ruota attorno a te. Lavorare in team è fondamentale, perché ciascuno può dare sempre un aiuto prezioso».
Dal punto di vista professionale può essere molto stimolante, «perché è giovane e in divenire, richiede un costante impegno nello studio, devi informarti, conoscere, tenerti aggiornato – questo è un aspetto che mi piace molto – e ha grandi potenzialità, anche sotto il profilo della ricerca».
Ma a sentir parlare di un lavoro “in trincea” e ad alto tasso di adrenalina si schermisce, perché il rischio di cadere nei cliché non aiuta a capire le cose. «Nei reparti di Medicina si ha il tempo di studiare il malato, nella Medicina d’Urgenza il tempo di studio è più breve e concentrato, per questo va organizzato e orientato. Rispetto al tradizionale approccio “verticale” si tratta di imparare un modo di lavorare “orizzontale”, per prendersi cura di tanti pazienti in contemporanea», sottolinea. «Un vantaggio è essere educati fin dall’inizio all’utilizzo dell’ecografo: abbiamo degli strutturati bravissimi nelle ecografie, anch’io voglio diventare così».
All’ospedale Civile Giorgia si divide tra il Reparto di Medicina d’Urgenza, dove vengono accolti i pazienti più acuti, e il Pronto Soccorso, ma ha alle spalle la conoscenza di molti reparti, dalla Medicina Interna alla Stroke Unit, dall’Unità di Terapia Intensiva Coronarica a diversi altri dove l’ha portata in questi anni il percorso formativo. Senza dimenticare le uscite sul territorio in automedica: «Una medicina bella, intensa, difficile: quando arriva l’allarme non sai mai cosa c’è dietro».
Le rotazioni – spiega – sono una componente cruciale, «insieme all’incontro con persone competenti che ti trasmettono il sapere e l’amore per quello che fanno. Poi c’è l’insegnamento indiretto, quello che cogli osservando l’esempio dei colleghi più esperti. Sotto tutti questi aspetti sono stata molto fortunata».
Se le si chiede cosa le piace del suo lavoro risponde «poter imparare ad acquisire consapevolezza, sicurezza e conoscenze necessarie per sapere cosa fare, per poter aiutare i pazienti che si presentano in Pronto Soccorso». «E’ la qualità dell’aiuto che riesco a dare a fare la differenza – sostiene – Se arriva un paziente con dolore toracico il mio obiettivo non può limitarsi a chiamare il cardiologo, perché il mio aiuto sarebbe parziale. Posso cercare di capire, ad esempio, se c’è dell’altro sotto le pieghe di ciò che appare a prima vista come un problema cardiologico: nel nostro lavoro si impara presto che non sempre le cose sono come sembrano, e un problema che si presenta in un modo può celare in realtà qualcosa di completamente diverso. Lo stesso accade con i codici minori, che possono essere i più ingannevoli: un codice rosso, che ha tutta la tua attenzione, può facilmente diventare giallo, ma un codice verde, apparentemente di urgenza minore, può rivelarsi più insidioso di quanto sembri».
Davanti a quel paziente che attende sul lettino con dolore al torace, l’obiettivo quindi «è cercare di aiutarlo bene: quello che offriamo è un servizio pubblico cui ciascun cittadino contribuisce per renderlo possibile, anche per questo devo provare a dargli il meglio che posso».
Giorgia ha già le idee molto chiare anche su un altro aspetto: col malato è importante parlarci. «Ed è importante farlo sentire partecipe di quello che sta succedendo – dice – Perché lui in quel momento non lo sa, si sente impaurito, sperduto, inquieto: l’aspetto relazionale è cruciale». Poi ci sono quelli che vedendoti giovane e donna ti chiamano “signorina”, e magari con lo strutturato che ti affianca hanno un atteggiamento molto diverso. «Ma anche questo, se fatto in buona fede, non mi dà fastidio. Non lo accetto, invece, se percepisco un atteggiamento di sufficienza o di presunzione».
E la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro? «In questo momento della mia vita, in cui sono concentrata sull’aspetto professionale, questo problema non me lo sono posto. Penso però che un sistema organizzato sui turni, come accade in Pronto Soccorso e in Medicina d’Urgenza, renda più facile organizzare i tempi di lavoro e i tempi della vita privata».
Certo se la Medicina d’Urgenza “soffre”, è indubbio che ci siano aspetti perfezionabili. «Realisticamente un miglioramento dell’aspetto economico potrebbe essere un incentivo, così come una maggiore tutela sotto tanti punti di vista. Ma di fondo deve cambiare la mentalità con cui si percepisce il Pronto Soccorso, che non è un ambulatorio o il piano B rispetto al medico di medicina generale. Questo purtroppo la popolazione l’ha un po’ dimenticato, ma una maggiore attenzione e una più proficua collaborazione oltre che un miglioramento anche dei servizi e delle risorse territoriali e ambulatoriali offerti alla cittadinanza, assicurerebbero migliori prestazioni per tutti».