La figlia ha telefonato più volte alla segretaria chiedendo di potermi parlare prima della visita, deve dirmi alcune cose che altrimenti davanti al papà non riuscirebbe a dire. Molti figli dei miei pazienti anziani hanno questo desiderio, ma la segretaria ha l’ordine di filtrare le richieste e verificarne la reale necessità, dovrei allungare ulteriormente il tempo di visita e nella stragrande maggioranza dei casi i problemi riguardano i figli, più che i genitori. Abitualmente, anche con le situazioni più delicate, riesco a cavarmela abbastanza bene nella mezz’ora canonica della visita.
Ugualmente al momento della visita ambulatoriale riesce a entrare prima del padre chiudendo con decisione la porta dietro le spalle. È una donna di età indefinibile, certamente ha meno di sessant’anni viste quelle dei genitori; magrissima, intuisco soffra di qualche malattia che non so però identificare (genetica?), e, nonostante l’irruenza dell’entrata, quando inizia a parlare dimostra un tratto mite e gradevole.
Con imbarazzo dice che il problema riguarda entrambi i genitori che lei accudisce. Il padre ha 85 anni, è “cognitivamente integro” e solo parzialmente limitato nei movimenti a causa di un’artrosi delle ginocchia; la madre ne ha 80 e da circa 10 soffre di malattia di Alzheimer, ora grave e con disturbi del comportamento.
Il padre la notte cerca frequentemente una relazione intima con la moglie; quando succede lei interrompe il sonno e diventa inquieta e ingestibile fino al mattino seguente. Mi implora di aiutarla, perché la situazione è diventata insostenibile dovendo anche lei, figlia, stare sveglia con la madre. Fa tenerezza quando dice di comprendere il papà “dopo tutto sono marito e moglie, si sono sempre voluti bene”, ma ora non ce la fa più.
Faccio entrare e accomodare il paziente e raccolgo le informazioni. Poi dico di spogliarsi; lo fa a fatica. Sale lentamente sul lettino, lo visito accuratamente, mi soffermo sugli arti inferiori, evoco i riflessi, gli chiedo di camminare.
Concludo la visita facendoli sedere; dopo un’occhiata d’intesa alla figlia mentre scrivo sul ricettario dico proditoriamente ad alta voce: “per il dolore delle ginocchia le prescrivo delle goccine; ne prenda 10 ogni sera e vedrà che il dolore passerà” e, a voce bassa, “anche lei e sua madre dormirete molto bene”.