L’Ordine dei Medici di Brescia ha promosso lo scorso novembre un Forum sulla crisi delle Scuole di Specializzazione in Medicina, cui hanno partecipato alcuni Direttori di Scuole di Specialità dell’Università degli Studi di Brescia. Dopo aver pubblicato il resoconto della prima parte del Forum, vi proponiamo qui la seconda ed ultima parte.
Forum sulle Scuole di Specialità/ seconda parte
Hanno partecipato Gianpaolo Balestrieri – Direttore responsabile di Brescia Medica, Ottavio Di Stefano – Presidente Ordine dei Medici di Brescia, Marco Fontanella – Delegato del Rettore per le Scuole di Specialità Università degli Studi di Brescia, Raffaele Badolato – Direttore Scuola di Specialità Pediatria Università degli Studi di Brescia, Marco Metra – Direttore Scuola di Specialità Cardiologia Università degli Studi di Brescia, Nazario Portolani – Direttore Scuola di Specialità Chirurgia Università degli Studi di Brescia, Francesco Rasulo – Direttore Scuola di Specialità Anestesia e Rianimazione Università degli Studi di Brescia, Massimo Salvetti – Direttore Scuola di Specialità Medicina di Emergenza Urgenza Università degli Studi di Brescia, Francesco Semeraro – Direttore Scuola di Specialità Oculistica Università degli Studi di Brescia.
La leva economica per invertire la rotta
Badolato: Anche la Pediatria ha le sue peculiarità, e raccoglie grande entusiasmo: gli iscritti sono sempre al 100% dei posti disponibili. Forse anche per una certa flessibilità di fondo di questa disciplina, che consente di cimentarsi in un ampio ventaglio di attività, dall’ambito intensivistico e dalla Neonatologia all’ambito internistico, a quello specialistico fino alla ricerca. Puoi fare tutte le medicine che ti interessano di più e scegliere dopo, nel momento in cui ciascuno si incammina nella direzione che sente più propria.
Ma anche la nostra specialità soffre delle criticità della professione in ambito ospedaliero, con i piccoli ospedali che non riescono ad assumere e una scarsa attrattività dell’attività di reparto, specialmente se con una turnistica impegnativa e rischi medico legali, cui si aggiunge una scarsa remunerazione.
La politica dovrebbe agire almeno sulle leve economiche, se è vero che la passione è individuale, la flessibilità può essere regolata con l’organizzazione, ma la remunerazione no, e richiede un miglioramento urgente.
Tutti cercano l’alta specializzazione
Metra: L’aspetto economico è senza dubbio un fattore di attrattività, in particolare la possibilità di dedicarsi alla libera professione.
Uno dei punti di forza della Cardiologia è la diversificazione delle attività, che vanno dall’imaging (che abbraccia l’ambito della radiologia) all’emodinamica ed elettrofisiologia (ambito chirurgico), alla Cardiologia pura e semplice (ambito internistico).
Va detto, tuttavia, che il discorso sulla qualità di vita non è applicabile alla nostra specialità: se si passa in reparto la domenica alle 8 di sera ci sono almeno 7-8 specializzandi che stanno lavorando. A testimonianza che l’impegno e la dedizione richiesti sono molto elevati, e questo non è scevro da rischi di burn out.
In un orizzonte più ampio il vero problema con cui ci stiamo confrontando è la ricerca, da parte delle nuove leve, dell’alta specializzazione: vogliono diventare elettrofisiologi, emodinamisti interventisti, mentre nutrono una considerazione drammaticamente scarsa per l’attività ambulatoriale. Non è tanto una questione economica ma un tipo di dedizione, che porta a prediligere la super-specializzazione con impronta chirurgica e focalizzazione sulla procedura piuttosto che sul paziente.
Ma in prospettiva c’è bisogno proprio di cardiologi ambulatoriali, per prestare attività nelle Case della Comunità e negli ospedali periferici che si trovano in carenza. Non viene percepita la necessità dell’attività ambulatoriale che ti mette in contatto con il paziente, la curiosità di vedere il malato.
Del resto è molto più complicato parlare con il paziente che mettergli uno stent. Ci vorrebbe una flessibilità che valorizzi l’esecuzione di procedure ma anche l’attività ambulatoriale, ma motivare i giovani cardiologi a fare ambulatorio è difficile.
Riguardo infine ai numeri, la nostra Scuola è piena al 100%, quest’anno abbiamo 22 posti, ma anche qui nel giro di cinque anni ci sarà il rischio di saturazione.
Fra tutoraggio e responsabilità in prima linea
Balestrieri: Il percorso formativo italiano è stato spesso criticato per motivi talora opposti: scarso tutoring con eccesso di responsabilità e supplenza del lavoro degli strutturati da una parte, dall’altra scarso coinvolgimento e progressione formativa (pensiamo soprattutto alle Chirurgie) rispetto all’esperienza di altri Paesi. Qual è la vostra opinione?
Portolani: E’ necessario dare un valore all’”internato”, che adesso è scomparso, prevedendo ad esempio negli ultimi due anni di Medicina una partecipazione più attiva nei reparti. Questo ridurrebbe gli abbandoni e aiuterebbe lo studente a maturare un suo percorso formativo qualificato.
Balestrieri: Il ruolo del mentoring o tutoring non è adeguatamente riconosciuto. E’ un problema cui si può dare soluzione?
Di Stefano: E se esiste uno statuto che regola le attività dello specializzando, come si verifica? Negli altri Paesi, mentre si forma, il giovane medico contribuisce all’operatività del reparto. Esistono tuttavia realtà in cui al secondo anno lo specializzando fa ambulatorio da solo, e altre in cui è seguito da un mentoring stretto.
Fontanella: In questo ambito non emergono molte differenze fra universitari e ospedalieri: ci possono essere colleghi ospedalieri bravissimi tutor, e ricercatori universitari straordinari, ma non tutor straordinari. Il problema è la mole di lavoro che ci sovrasta: se una volta si poteva discutere un caso per tutto il pomeriggio, ora non c’è più tempo, perché è una vita che è molto cambiata. Se un tempo il maestro, già durante il corso di laurea, era attento al “fuoriclasse” che avrebbe fatto strada, adesso anche questo è molto più difficile.
La Lombardia, poi, ha anche un grosso problema dal punto di vista chirurgico, perché negli interventi di medio-alta chirurgia la normativa prevede la presenza di due chirurghi strutturati in sala operatoria, mentre lo specializzando può assumere il ruolo di terzo chirurgo, cosa che va a discapito dell’insegnamento. In altre Regioni, come Veneto e Piemonte, lo specializzando può invece essere secondo chirurgo, e quindi fare molto di più.
Le perplessità sul “Decreto Calabria”
Badolato: Vedo margini di miglioramento perché non abbiamo ancora un’organizzazione efficace nel raggiungimento degli obiettivi formativi. Uno sforzo sulla qualità della formazione specialistica è doveroso, soprattutto ora che stiamo vivendo una fase di disaggregazione del percorso formativo legata ad interventi legislativi (vedi il “Decreto Calabria”) che consente già al secondo-terzo anno di chiamare al lavoro gli specializzandi. Una misura-tampone che reputo disgregante e disastrosa perché rischia di peggiorare i problemi.
Il nostro reparto ha l’accreditamento della Joint Commission International: una delle richieste per l’accreditamento è che il trattamento degli specializzandi sia graduato sul livello di formazione. Ci sono aspetti organizzativi e di responsabilità, cui segue quello economico: è ciò che va pensato meglio. E’ vero infatti che la normativa prescrive che lo specializzando abbia la supervisione del tutor, ma questo principio di supervisione risulta spesso “interpretabile”.
Rasulo: La normativa stabilisce il livello di autonomia che lo specializzando può raggiungere, ma i criteri di autonomia si maturano solo dopo aver completato l’anno formativo, quindi al secondo anno uno specializzando ha un livello di autonomia del primo anno.
Le potenzialità della simulazione
Semeraro: Un aspetto da implementare sarebbe piuttosto la simulazione in medicina: una possibilità che non riguarda più solo la Chirurgia, ma molti altri ambiti in cui molteplici condizioni possono essere efficacemente riprodotte per formulare diagnosi non direttamente sul paziente.
Se introdurremo maggiori possibilità di intervenire mediante attività simulata potremo essere più attrattivi e trattenere i giovani medici nella stessa sede.
– Fine seconda ed ultima parte –