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Uno spazio di confronto sulla medicina con notizie, opinioni e commenti

Notiziario dell'Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Brescia – aut. Tribunale di Brescia n. 195/1962

Dire la verità o “fare” la verità

«La verità non si contempla: si fa».

Perché prendere a prestito le parole di un filosofo parlando di sanità?

Dobbiamo ritornare alla pandemia.

Quali “verità” ha definitivamente rivelato e quali le azioni conseguenti?

Nei momenti drammatici di esordio l’ignoranza sulla malattia si traduceva nella consapevolezza amara della nostra impotenza, dopo anni di presunte “magnifiche sorti e progressive” della nostra scienza o, più correttamente, della nostra pratica.  Dopo la grande illusione di una solidarietà diffusa, della responsabilità collettiva del prendersi cura gli uni degli altri, anche gli altri a noi non vicini, e la convinzione che COVID 19 ci avrebbe cambiato dentro: la realtà. Contenuta la “morte diffusa”, grazie ai vaccini, e con l’attenuarsi della paura siamo ritornati al nostro “particulare”. È un atteggiamento comprensibile, quasi naturale, antropologico. Superata l’emergenza è rinato il desiderio di una vita “normale” fatta delle nostre singole emozioni, gioie e sofferenze, non più condizionata da un fattore esterno totalizzante che sembrava incontrollabile. E questo riguarda anche noi. Noi, però, abbiamo messo in campo nei momenti bui, e questa è una certezza, un nuovo spirito ippocratico. Ci siamo parlati, ci siamo aiutati e abbiamo cercato di non lasciare indietro alcuno.

Ma le verità del COVID, che poi sono quelle del nostro tempo attuale e futuro, sono lì evidenti, vive.

La nostra salute è intrinsecamente legata alla salute dell’ambiente e degli animali. Sappiamo con certezza “che il cambiamento climatico, l’inquinamento, lo sfruttamento indebito delle risorse naturali incidono sulla nostra salute”. (1) Il concetto di One health è definitivamente acquisito e dovrebbe guidare tutte le scelte di politica sanitaria («health in all policies»).

Tutti siamo consapevoli di quanto i determinanti socioeconomici incidano sulla salute.

La letteratura ha documentato come, nei Paesi in cui non esiste un sistema sanitario solidale ed universale, le diseguaglianze socioeconomiche si sono accentuate disvelando ancora di più il loro effetto deleterio sugli ultimi.

Con tutti i limiti emersi nella pandemia il nostro sistema ha invece retto ed ha limitato le discriminazioni.

Ma le verità “rivelate” da COVID dovrebbero farci pensare o ripensare. Abbiamo toccato con mano le nostre fragilità. Dalla prevenzione trascurata e quasi dimenticata, alla medicina territoriale, ai vari livelli indispensabili di integrazione fra i vari setting di cura ed il sociale, all’organizzazione, all’informatica, alla telemedicina, all’intelligenza artificiale e alla lotta agli sprechi. «Una visione globale è ormai irrinunciabile: è necessario passare dal condizionale «dovrebbero» al «dobbiamo»….» (1).

Evidenze certe, quasi ovvie che, quindi, non dovremmo, ma dobbiamo affrontare. Ed allora perché percepisco una sensazione di disagio profondo e diffuso.

Chi ha qualche anno di mestiere alle spalle (decenni!) ha condiviso, praticato e vissuto i principi fondativi del Servizio Sanitario Nazionale dettati dalla Costituzione.

Se decliniamo “la tutela della salute quale diritto fondamentale”, in termini meno aulici, diventa diritto alla cura. Cura che non finisce anche quando la malattia ha vinto.

È ancora garantito il diritto alla cura nel nostro Paese? Fiumi di dati dimostrano che, se ancora riusciamo a tutelare chi soffre di emergenze o di patologie severe, pur con cronici ritardi, su molti altri versanti l’accesso alle cure non trova risposta nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN).

È un declino inarrestabile? Da qui lo sconforto di molti di noi, che spesso si traduce in abbandono.

Mancano i soldi, tanti soldi. Soldi sottratti al sistema ormai da decenni.

Ma prima di accennare a soluzioni possibili parliamo di noi.

La qualità della nostra professione è ancora adeguata al nostro tempo?

Quali competenze, quali nuove competenze del medico oggi?

Lavorare in team allargati multidisciplinari, multiprofessionali ed aperti al sociale, è un must che ci ripetiamo ad ogni convegno. Ma non basta enunciare un principio giusto, “dobbiamo” imparare come si lavora insieme, strutturando le interazioni con le altre professioni sanitarie. “Dobbiamo” possedere la digitalizzazione, la telemedicina, capire potenzialità e rischi dell’intelligenza artificiale. È un lavoro culturale improbo che “deve” vedere in prima fila la migliore intellighenzia della professione, dagli Ordini, all’accademia, ai sindacati, alle società scientifiche, ai pazienti.

Le attuali modalità di aggiornamento sono coerenti con questa prospettiva?

Questo è quello che “dobbiamo” fare noi. Questo Ordine con grande fatica, ma impegno strenuo sta progettando, su queste basi, un percorso di aggiornamento.

Mancano i soldi. Ed è del tutto giusto che nelle piazze italiane si facciano sentire i medici, sottopagati e con una qualità della vita che allontana sempre di più i giovani dal mestiere che per molti di noi è stato un sogno realizzato. Un medico competente, moderno, che sia messo in condizioni di riscoprire il valore fondante della relazione di cura e con una vita famigliare e sociale non condizionata dalla continua frustrazione di un’organizzazione obsoleta e da carenze strutturali ed umane drammatiche, ritrova sé stesso, ma ciò che più conta cura meglio i malati.

Mancano i soldi. Il sistema non è più sostenibile: è diventato il refrain di un tormentone estivo.

Certo chi si è affacciato alla professione tanti anni fa sull’onda della 833 fondata sull’articolo 32 della Costituzione ha creduto (ingenuamente?) che il diritto “fondamentale” alla salute, o meglio, alla cura, si realizzasse in sanità con “il tutto a tutti”.

E la realtà?

Mancano i soldi e da tanto tempo. Il sistema è profondamente cambiato. Accanto al pubblico ampi spazi oggi sono gestiti dal privato accreditato e la quota out of pocket e intermediata costituisce una frazione rilevante dell’intera spesa sanitaria.

Si legge quasi quotidianamente che in Italia è in atto una privatizzazione sotterranea della sanità in continua evoluzione. Gli argomenti a favore di questa tesi appiano suggestivi.

Eppure, non ricordo alcuna dichiarazione ufficiale della politica, delle agenzie culturali, dei corpi intermedi che auspichi un cambiamento di sistema: da un SSN basato sul contributo di tutti, per cui chi sta male, e vive il dolore e il non senso della malattia, trova risposte consone, indipendentemente dalla sua condizione sociale ed economica, a modalità diverse di finanziamento, presenti in molti Paesi, non basate sulla fiscalità generale (leggi: solidarietà).

Mancano i soldi. Ma se queste premesse sono vere il diritto alla cura (insieme alla scuola) è una priorità.

La priorità! Già questo principio dovrebbe, “deve”, essere determinante per l’impegno delle risorse.

Se si affronta la questione con spirito laico, superando la nostalgia personale per l’idealità anacronistica (forse) del “tutto a tutti”, facendo i conti con la realtà e prendendo per buone le affermazioni univoche sulla indispensabilità del nostro SSN, nel suo assetto solidale ed equanime, ha ancora senso parlare di sostenibilità?

Due azioni appaiono imprescindibili: un diverso rapporto sinergico e non competitivo con il privato accreditato basato su regole condivise, sulla programmazione degli ambiti di intervento a seconda delle necessità di sistema, privilegiando l’appropriatezza delle prestazioni rispetto alla produttività (leggi remunerabilità); un’analisi critica dei sistemi assicurativi, integrativi e sostituivi, considerandone l’impatto sulla spesa sanitaria globale davvero rilevante e in crescita degli ultimi anni,  che potrebbe davvero spostare l’asse della salute in relazione alle condizioni economiche individuali, rispetto al diritto costituzionale di accesso universale alle cure.

Questi gli elementi di fondo, che insieme alla “questione medica” ed alle innovazioni organizzative e tecnologiche favorite dal PNRR, dovrebbero essere alla base di una proposta tempestiva della Politica che nasca dal coinvolgimento di Ordini, Sindacati, Accademia e Pazienti.

Ogni scelta politica, democraticamente determinata, è legittima, ma se ancora non possiamo pretendere che “la verità non si contempla: si fa”, è un diritto conoscere il destino del nostro SSN, per noi professionisti della salute, medici e no, ma, ciò che più conta, per i nostri pazienti.

(1) Laura Palazzani, Un cambio di paradigma per la salute, Corriere Salute, 22 maggio 2023.

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