Esco prima delle sei per andare in ospedale (devo pur sfatare il luogo comune che i chirurghi arrivano presto, mentre i molli internisti generalmente sono in ospedale dopo le otto!).
Da quasi trent’anni, per raggiungere il garage, a quell’ora incontro una signora con un cane al guinzaglio. Di lei ho sempre notato l’altera eleganza, anche mattutina, l’espressione del volto assente e l’immancabile sigaretta tra le dita. All’inizio riuscivo solo ad osservarla, per diverso tempo non mi è mai stato concesso uno sguardo; poi lo sguardo è arrivato. Ultimamente ci si scambia un fugace buongiorno con un accenno a un cortese sorriso. Le prime volte ho pensato fosse altezzosa ed evitasse volutamente la confidenza con una persona che esce da casa presto il mattino, cioè di professione umile, poi mi sono fatto la convinzione che fosse solo timida, oppure discreta. Di lei non ho mai saputo altro.
Dai primi incontri di tempo ne è passato, è visibilmente invecchiata. La schiena curva, cammina lentamente per un evidente mancafiato, ha la sigaretta tra le dita e governa il cane, il terzo o il quarto che ho conosciuto e di taglia sempre più piccola, con sempre maggior difficoltà. Conserva l’allure.
L’altro giorno è arrivata inaspettatamente in ambulatorio; motivo della visita un problema respiratorio. Ha finto di non conoscermi, oppure non mi ha davvero riconosciuto.
Risponde con frasi brevi, spesso monosillabi, è evidente la sua incapacità ad aprirsi. Il foglio di accettazione riporta che ha 82 anni. Riesco a farmi dire che è divorziata e che vive sola da più di quarant’anni; me ne guardo dal forzare la sua riservatezza.
Ci incontriamo ogni mattina da trent’anni e non so nulla di lei. Non credo ritornerà per un controllo. Mi sarebbe piaciuto sapere di più della sua vita, dei suoi pensieri; provo a immaginare il suo dolore mattutino, antico, che probabilmente rimarrà sempre confinato nella sua mente.
Stamattina, uscendo di casa l’ho rivista, ci siamo salutati come sempre.