E’ con molto piacere che ho accolto l’invito di scrivere questo commento a seguito dell’inchiesta promossa dall’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri di Brescia. Inchiesta quanto mai tempestiva e attuale per diverse ragioni.
La recente pandemia, la riforma del Servizio Sanitario Nazionale e la applicazione del DM 77, il PNRR alla luce dell’impegno degli Stati Membri al Progetto Next Generation, hanno portato alla luce i punti di forza della Sanità italiana, ma anche le crescenti criticità e le ormai storiche inefficienze. Noi tutti, medici e operatori del settore, viviamo con forte preoccupazione la crisi economica e sociale che ha inevitabili ripercussioni sulla nostra professione e sulla tenuta del tanto acclamato SSN come evidente alle notizie che riempiono anche in questi giorni giornali e televisioni.
Per queste ragioni, è quanto mai informativo e degno di attenzione quale sia lo stato d’animo e il pensiero di chi ha cominciato a percorrere i primi passi verso la professione medica. Le domande poste non hanno risposte facili. Tutte pongono la necessità di una riflessione profonda e di un processo di introspezione non facile.
Perché si sceglie di fare il medico oggi? Vocazione missionaria, interesse scientifico, ruolo sociale, emulazione familiare, insicurezza personale, bisogno affettivo, una serie televisiva. Spesso, un insieme inconsapevole di ciascuna di queste ma in ogni caso un agito personale, ovvero una libera scelta.
Ecco, il primo nodo o il primo elemento di riflessione. Cosa è una libera scelta? Essa dovrebbe essere un atto volontario, razionale, anche impulsivo, che avviene nel momento in cui si presentano più alternative delle quali se ne assume una, se ne conosce la conseguenza. Secondo Aristotele, la scelta è libera quando nasce dall’individuo sempre che vi sia nel soggetto una conoscenza di tutte le circostanze particolari associate alla scelta. Ma è così? Quali strumenti ha oggi un giovane che sceglie? Quale il processo che orienta la scelta?
In realtà, come evidente da alcune risposte, poche sono le occasioni che permettono di conoscere quale sia la professione medica, quali le reali opportunità, quali i percorsi e quali gli ostacoli. Questo aspetto non è banale, se si pensa ad un aspetto non del tutto noto anche in relazione alle polemiche, spesso strumentali, dell’opportunità di mantenere o meno il numero chiuso. Infatti, il numero di adesioni al concorso è molto alto, seppure stabilmente, tra 60.000 e 70.000, ma il numero di quesiti superati per accedere al corso di laurea sono poco sopra la metà. Ovvero, la maggior parte di coloro che rimangono esclusi non sono in grado di rispondere correttamente a 1 quesito su due.
E’ un dato, riduttivo quanto si vuole, ma esemplificativo della scarsa preparazione che accompagna una popolazione di giovani sinceramente appassionati e romanticamente attratti da una professione percepita come unicamente umanistica.
Considerazioni analoghe possono essere espresse anche a proposito della seconda domanda relativa alla scelta dell’area di interesse e specializzazione. Infatti, le risposte fornite esprimono ancora una volta un agito personale, una decisione spesso casuale e occasionale, determinata da eventi esperienziali e relazionali a conferma di un percorso, quello universitario, ancora oggi eccessivamente frammentato e raramente ispirato ad una progettualità formativa integrata e orientata ai reali bisogni di salute.
Sarebbe invece necessaria una forte riflessione sul ruolo del medico e una costante condivisione degli scenari sociali e assistenziali che permetta agli studenti di medicina di avere strumenti conoscitivi più precisi per affrontare la scelta post laurea. Ma oggi non ci sono mappe e bussole per orientare i futuri medici e gli abbandoni da alcune scuole di specializzazione sono un campanello d’allarme da tenere in considerazione, così come la fuga di molti all’estero.
A tal riguardo, non può sorprendere il tenore delle risposte alla domanda relativa alle criticità relative ai rapporti con colleghi, con le strutture sanitarie, e con i pazienti. Le risposte confermano che non vi è una adeguata attenzione da parte del Corso di Laurea agli aspetti relazionali, alle cosiddette soft skills, alla componente formativa della cura intesa come prendersi carico del malato e dei suoi familiari. Si riporta una certa improvvisazione nell’essere esposti al Sistema Sanitario senza essere preparati e accompagnati. Non sorprende che molte risposte si riferiscano alla classe medica, cioè in fondo al medico di reparto, il cosiddetto tutor, spesso sentito come lontano, come distratto, come indaffarato tra burocrazia e burn out, vittima sacrificale di un sistema vissuto come non appagante ed eccessivamente competitivo, esplicitamente condizionato da una parte dai budget, dalla produttività, dalla appropriatezza e dall’altra dalle crescenti responsabilità, dalle carenze di organico e di organizzazione.
A conferma di quanto detto, è del tutto comprensibile da parte degli intervistati il richiamo ad una formazione che coniughi teoria e pratica, che regoli e renda realmente formativi i tempi del tirocinio; in altre parole una formazione che garantisca la graduale acquisizione di responsabilità e di autonomia insieme ad un tutoraggio che non si limiti ad un esercizio formale ma che offra la possibilità di acquisire competenze tecniche e professionali, anche in tema di comunicazione con il paziente, informatizzazione e parte normativa.
Vado a concludere cercando di trarre dalle risposte all’ultima domanda un commento generale. Emerge infatti dall’insieme di questa inchiesta rivolta ai giovani medici una forte richiesta di professionalità e di rispetto del proprio ruolo di medico. Non è più tempo di nascondere le inefficienze e le disorganizzazioni dei sistemi formativi e sanitari nel nome di una presunta missione, per cui va tutto bene. I giovani medici rivendicano di essere preparati adeguatamente, di essere aiutati e orientati nelle loro scelte, di fare il proprio lavoro senza dover rinunciare alla qualità della propria vita. Vi è in tutto questo un senso di maturità, di consapevolezza, di autorevolezza, di fierezza, che è ammirevole e che deve essere fatto proprio da tutti coloro che vogliono essere medici.