Il tema dell’errore e delle sue possibili conseguenze legali è molto sentito tra i medici e non è un caso. Si calcola infatti che ad oggi siano circa 300.000 i procedimenti per errore medico aperti nei Tribunali civili e penali italiani e che circa 30.000 di nuovi se ne aprano ogni anno.
Sul perché si sbaglia ho scritto un libro (Margini di errore, Mondadori 2019) che cerca di navigare, empaticamente e senza pregiudizi, tra le infinite possibili cause di errore. Qui vorrei solo ricordare che gli errori sono spesso dovuti a condizioni lavorative sempre più stressanti, a tempi di lavoro sempre più stringenti, a una comunicazione tra professionisti che troppo spesso si limita a un andirivieni di richieste e di referti e che solo raramente prevede momenti strutturati di incontro per discutere insieme di casi e di pazienti. Questo ovviamente non significa che non si continui a sbagliare anche per ignoranza (imperizia), disattenzione (negligenza), sottovalutazione dei problemi (imprudenza).
Personalmente sono convinto che gli strumenti principali per combattere gli errori cognitivi (quelli cioè in cui sono coinvolti il nostro ragionamento e le nostre emozioni) siano la formazione continua (non necessariamente quella ECM, ma anche lo studio individuale quotidiano) e il lavoro di gruppo, cioè la possibilità di confrontarsi regolarmente con i colleghi, mettendo a frutto, volta per volta, le diverse competenze di ognuno. Sono consapevole che i problemi logistici e organizzativi di cui soffre oggi il nostro servizio sanitario pubblico non facilitano questo approccio, ma credo fortemente che sia compito dei professionisti richiederlo a gran voce e praticarlo ogni volta che sia possibile.
Il tema più controverso resta però quello del contenzioso medico-legale che, nonostante si risolva a favore dei medici in quasi il 95% dei casi, è comunque fonte di disagio, di malessere e di costi economici tanto per i medici quanto per la parte ricorrente cioè, ricordiamolo, per i nostri pazienti che ritengono di non aver ricevuto cure adeguate in fase di diagnosi o di terapia.
Due solo osservazioni su questo argomento. La prima è che più di uno studio ha dimostrato che la persona che è stata oggetto di un errore medico si rivolge molto spesso ad un legale perché, più ancora che dal possibile danno organico, si è sentita offesa dal comportamento del medico, dalla sua disattenzione o poca cortesia o ancora dalla sottovalutazione delle proprie richieste e delle proprie emozioni.
In modo analogo, altri studi sostengono che il principale desiderio di chi è stato oggetto di un errore medico sia quello di ricevere spiegazioni, scuse, e l’assicurazione che di quell’errore il medico o l’ospedale faranno tesoro per evitare il suo ripetersi nei confronti di altre persone. È spesso l’assenza di queste risposte a far scattare la rivendicazione economica o penale. Purtroppo credo si debba ammettere che oneste spiegazioni e scuse sincere dopo un errore non fanno parte delle scelte abituali di molti professionisti e tantomeno di molti ospedali che ritengono che negare, minimizzare o giustificare l’errore sia la strategia più conveniente.
La seconda osservazione è che, nonostante la Legge Balduzzi del 2012 e la Legge Gelli-Bianco del 2017 abbiano già affrontato il tema della punibilità penale degli errori medici, questo non sembra, a tutt’oggi e per vari motivi, avere inciso più di tanto sul contenzioso.
È dunque benvenuto l’annuncio fatto dal Ministro della Sanità Orazio Schillaci in una recente intervista al Messaggero di voler depenalizzare l’errore medico. Questo sarebbe infatti l’unico modo efficace per riportarci più vicini all’Europa che vede solo noi e la Polonia perseguire penalmente i propri medici, mentre negli altri paesi le vittime di errore medico accedono a meccanismi di conciliazione e di rimborso che sono gestiti al di fuori delle aule di tribunale o che vi approdano, in un numero ridotto di casi, solo per un procedimento di carattere civile. In Francia il paziente può scegliere di ottenere un indennizzo economico rinunciando a intraprendere un’azione legale. Quando questo avviene, nel 98% dei casi un’apposita commissione riconosce un adeguato risarcimento. Anche nei Paesi Scandinavi il risarcimento viene assicurato a prescindere dall’individuazione di un colpevole e il medico rimane responsabile solo disciplinarmente.
Bisogna riconoscere alla Legge Gelli-Bianco di aver fatto un primo passo in questo senso prevedendo l’obbligo di un tentativo di conciliazione dinanzi al giudice competente prima di poter intentare una causa. I tempi lunghi della Giustizia (l’obbligo decade se il procedimento non si conclude dopo sei mesi dalla presentazione della richiesta) e la mancata emanazione dei decreti attuativi della Gelli-Bianco, rendono la riforma sulla responsabilità sanitaria inevitabilmente incompleta e non pienamente operativa.
Concludo auspicando pieno successo al progetto del Ministro Schillaci che potrebbe incidere sulla serenità dei medici, su di un equo riconoscimento dei diritti di chi ha subito un danno e, forse, anche sul non irrilevante problema della medicina difensiva. Il nome della commissione che è stata messa al lavoro dal Ministro della Giustizia lascia purtroppo qualche dubbio. Una “Commissione per lo studio e l’approfondimento delle tematiche relative alla colpa professionale medica” non suona esattamente come l’avanguardia di una rivoluzione.