“Bambini, mi raccomando, quando avete finito mettete a posto i giochi!!”
Credo che tutti i genitori abbiano più volte pronunciato questa frase esortativa nel corso della loro esperienza, più o meno consapevoli del suo valore educativo.
Mi correggo: non tutti. Ho conosciuto un tale che, in riferimento alla stessa situazione, era solito dire: “Bambini, mi raccomando, lasciate stare i giochi, che quando torno questa sera ci penso io a metterli a posto!”.
Eviterei di definire questo comportamento “anormale”, visto che, come avrò modo di approfondire in seguito, il concetto di normalità può essere a volte molto vago e, di conseguenza, può risultare troppo approssimativo, se non addirittura pericoloso, il classificare qualcuno o qualcosa come normale o anormale. Mi limiterò a definire tale comportamento “non in linea con la media della maggioranza dei genitori”.
Ma andiamo con ordine.
Giulio (il nome è fittizio, ma il personaggio è reale) è un mio paziente di 62 anni. Sposato, ha due figli, di cui uno laureato ed uno diplomato e sposato. Una famiglia tranquilla e serena. Giulio ha un incarico dirigenziale in una importante industria metalmeccanica. Non frequenta molto il mio ambulatorio: ha sempre goduto buona salute. E’ più facile che lo incontri per strada, in paese. In una occasione mi ha presentato anche il suo datore di lavoro, il quale ha trovato modo di elogiare in maniera che ho percepito molto convinta e sincera, con una nota di affetto, le qualità di precisione, affidabilità ed efficienza del suo collaboratore e la stima di cui godeva presso tutti i dipendenti.
Purtroppo, lo sappiamo bene, l’aver sempre goduto buona salute non è una garanzia sufficiente a tutela del nostro benessere. Giulio mi contatta perché ha cominciato a lamentare dispepsia, inappetenza, calo ponderale. I soliti accertamenti di rito e la diagnosi, purtroppo sospettata fin dall’inizio: cancro. Come se non bastasse, la neoplasia è in stadio avanzato, non operabile. Qualche ciclo di chemioterapia, rivelatosi inefficace se non addirittura dannoso ed infine il ricorso alla sola palliazione.
Attivo l’assistenza domiciliare per potermi avvalere dell’aiuto infermieristico e della consulenza di un medico palliativista e programmo inizialmente un paio di visite domiciliari la settimana.
E’ nel corso di una di queste visite al letto del malato che mi scappa l’occhio sull’armadio della camera, con un’anta aperta. Non posso trattenere un sorriso nel vedere appese tre serie di pantaloni perfettamente allineate secondo la gradazione del colore: una dall’azzurro al blu scuro, una dal grigio chiaro, al grigio fumo, al nero, l’ultima dal beige al marrone scuro.
“Complimenti per l’ordine!” è il mio commento. Anche la moglie, presente, sorride. “In effetti, è sempre stato ordinato e preciso. Si figuri che quando i bimbi erano piccoli voleva essere sempre lui a mettere a posto i giochi, perché ogni gioco doveva sempre essere messo in un certo modo!”.
Disturbo ossessivo-compulsivo di personalità è il mio primo pensiero. Disturbo ossessivo-compulsivo nel suo sottotipo “ordine e simmetria”. Siamo dunque nella patologia?
Al tempo. Mi risulta che per poter porre una diagnosi corretta il DSM-5 contempli altri criteri. In particolare il “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” definisce il Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità (DOCP) come una condizione caratterizzata da perfezionismo, preoccupazione per l’ordine e tendenza al controllo, sia a livello intra che inter-personale. Questi aspetti di rigidità compromettono l’efficienza, la flessibilità e l’apertura della persona, e si presentano entro il corso della prima età adulta….
Come per gli altri disturbi di personalità, tali caratteristiche devono essere pervasive (cioè inflessibili e presenti in svariati contesti, non solo in una specifica situazione), persistenti (il pattern deve essere stabile e di lunga durata) e patologiche (causare marcato disagio o compromissione del funzionamento).
Nel nostro caso manca questo aspetto patologico del disagio, sia per quanto riguarda il soggetto, Giulio, persona tranquilla e, almeno apparentemente, serena, sia per quanto riguarda i contesti in cui operava: in famiglia, dove la sua mania dell’ordine era tranquillamente accettata e vissuta (evidentemente non la faceva pesare), sia nell’ambiente di lavoro, in cui di solito il disturbo, caratterizzato da eccessiva mania di precisione ed ordine, finisce con il compromettere l’efficienza e suscitare malumori nei colleghi. Al contrario, Giulio era apprezzato per la sua efficienza e benvoluto da tutti.
Evidentemente aveva la capacità di utilizzare questa “mania” in proiezione positiva e razionale, nobilitando così un sintomo, che in molti è segno di patologia, in una qualità.
Un ultimo aspetto, che non ha nulla a che vedere con il DOCP, ma che mi sembra interessante sottolineare: l’importanza del domicilio. Quell’anta aperta è stata per me un occhio che mi ha rivelato aspetti sconosciuti del mio assistito.
Tutti siamo consapevoli dell’importanza di tener conto del contesto bio-psico-sociale per poter valutare e curare correttamente i nostri pazienti. Ebbene, il domicilio è parte integrante di questo contesto bio-psico-sociale, una parte ricca di preziose informazioni che aspettano di essere colte.