Abbiamo chiesto a un gruppo di giovani medici di raccontarci motivazioni, problemi e prospettive del loro percorso professionale, rispondendo ad alcune nostre domande.
Vi proponiamo in anteprima una sintesi delle loro risposte, che proporremo on line a cadenza settimanale, suddivise per argomenti tematici. La versione integrale dei contributi sarà pubblicata sulla prossima edizione cartacea di Brescia Medica.
Quali i motivi, le ragioni che ti hanno spinto a scegliere la professione di medico? (quale importanza hanno i motivi umanitari? Gli aspetti economici? Il ruolo sociale? Il prestigio e il riconoscimento sociale? L’interesse per la relazione personale?)
«Penso che la risposta a cosa mi abbia spinto a scegliere la professione medica sia da ricercare nella propensione ad aiutare il prossimo che mi è sempre appartenuta, probabilmente scaturita dalla mia educazione familiare». (Sara Rocchi, specializzanda in Geriatria)
«Ho scelto di tentare ad accedere alla facoltà di Medicina perché mi affascinava la professione; certo, non avevo bene chiaro in testa cosa comportasse, però lo volevo. Le sfide personali mi piacevano e mi piacciono e questo è stato un ulteriore stimolo a mettermi alla prova. Sebbene l’aspetto umanitario della professione sia sempre presente non ne sono mai stato completamente sopraffatto: ritengo infatti che, al giorno d’oggi, fare il medico non debba essere considerato una vera e propria missione ma una professione a tutti gli effetti, sebbene con necessari aspetti etico morali dai quali non si deve prescindere. L’aspetto sociale della professione e il suo fantomatico prestigio gratificano, certo, ma non hanno mai influito, se non in una infinitesima parte, nella scelta del percorso. Quando si parla di professionisti non si può certo non parlare di remunerazione: aspetto che non ho mai considerato come scopo finale della mia professione quanto una gratificazione della bontà del lavoro svolto». (Federico Bozzi, specialista in Ortopedia)
«Fin da bambina ho sempre sognato di fare il medico. Ho pensato spesso da dove sia nata questa passione non avendo in famiglia nessun medico e quindi esempi a cui ispirarmi. Penso sia stata l’ammirazione per la mia pediatra di famiglia. Quando andavo in visita da lei non avevo paura, anzi ero attratta da quel mondo fatto di strani strumenti diagnostici e soprattutto dal rapporto che si era creato con lei.
Crescendo ho capito anche che avevo una predisposizione personale ad aiutare gli altri. Solo successivamente ho capito che la scelta di diventare medico, oltre a gratificarmi personalmente, aveva una serie di risvolti a cui non avevo pensato prima, per esempio quello economico e occupazionale. Una volta laureata mi sono resa conto di quanto la mia figura professionale fosse richiesta sul mercato del lavoro a differenza di quella di altri miei amici laureati in altre discipline con difficoltà a trovare un’occupazione. Il giorno della laurea mi ricordo la soddisfazione di aver detto ce l’ho fatta, sono diventata quello che volevo essere e, sicuramente, la consapevolezza di aver preso un posto importante nella società». (Federica Zanotti, medico di Medicina Generale)
«Ancora oggi l’aspetto che maggiormente mi appaga è quello umano, ovvero la relazione con i pazienti e il riconoscimento che arriva da loro. Purtroppo, spesso questo non basta e non può bastare. La dignità di una persona nel proprio lavoro è fondamentale, qualsiasi lavoro si faccia. Spesso lo si dimentica perché facciamo un lavoro che per sua natura è davvero un privilegio, senza dubbio, ma è pur sempre un lavoro, non una missione, e nel lavoro tutti hanno diritto di poter esercitare con dignità. Nel tempo ho raggiunto maggior consapevolezza e penso che questo abbia reso le mie scelte più mature e meno romanzate, proprio come avviene in una relazione che, per essere sana, ha bisogno che una persona prenda coscienza dei propri diritti. Non è un paragone azzardato, per noi tutti Medicina rappresenta la relazione più importante di tutte, quella su cui abbiamo investito maggiormente nel corso della nostra vita». (Sara Cherri, specialista in Oncologia)
«Quella di diventare medico è stata un’idea nata negli anni del liceo; ricordo chiaramente il momento in cui, leggendo il libro “Pappagalli Verdi” di Gino Strada, ho capito che quella sarebbe stata la mia strada. All’epoca la mia idea era quella di fare qualcosa di utile per gli altri, intraprendere una professione che mi permettesse di aiutare le persone; sicuramente era un pensiero molto idealizzato, ma questo primo slancio mi ha permesso di affrontare il percorso universitario con una motivazione capace di spronarmi anche nei momenti difficili.
Sicuramente anche l’idea di un futuro lavoro che mi permettesse di essere economicamente indipendente ha giocato un ruolo nella mia scelta, ma quella economica non è stata la motivazione principale delle mie decisioni». (Giulia Zambolin, specialista in Malattie Infettive)
«La scelta di fare il medico è nata principalmente dall’averne respirato in casa già da bambina il significato più profondo: mio padre era medico di Medicina Generale ed il suo essere medico si toccava con mano quotidianamente tra uscite di casa improvvise, telefonate a qualsiasi ora del giorno, consulenze “al volo” durante una normale passeggiata in paese.
Nonostante l’impegno costante trasparivano la passione e la dedizione per i pazienti e questa missione (che non definirei una professione) tanto da generare in me il desiderio di intraprendere il medesimo percorso.
Oltre a questa esperienza personale, ritengo che tutte le persone che lavorano in ambienti di cura svolgano questa missione per ricercare loro stessi una cura: l’aiutare il prossimo, il sentirsi utile, il sapere che qualcuno sta bene grazie a te e alle tue competenze». (Valentina Romano, specialista in Geriatria)
1. continua