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Notiziario dell'Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri di Brescia – aut. Tribunale di Brescia n. 195/1962

Forum – La formazione del Medico di Medicina Generale

Sintesi del Forum cui hanno partecipato Gianpaolo Balestrieri, Direttore responsabile di Brescia Medica, Germano Bettoncelli, Medico di Medicina Generale e responsabile della Commissione Cultura dell’Ordine, Ovidio Brignoli, Medico di medicina generale, Responsabile regionale della Scuola di formazione per MMG e Vicepresidente SIMG Società Italiana di Medicina Generale, Francesco Castelli, Pro-Rettore vicario dell’Università degli Studi di Brescia, direttore Clinica di Malattie Infettive e Tropicali, Università degli Studi e ASST Spedali Civili di Brescia, Daniele Coen, Medico d’urgenza, già direttore del Pronto Soccorso ospedale Niguarda di Milano, Ottavio Di Stefano, Presidente Ordine dei Medici di Brescia, Bruno Platto, Segretario Ordine dei Medici di Brescia, già Medico di Medicina Generale │Il Forum si è tenuto il 26 ottobre 2021.

Balestrieri: Questo Forum nasce dalla volontà di promuovere uno scambio di idee, alla luce di alcune considerazioni riguardanti sia il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sia la riforma della legge 23 di Regione Lombardia, che pongono il medico di medicina generale (Mmg) al centro di un rilancio della sanità territoriale, prevedendo l’attivazione di strutture nuove come le Case e gli ospedali di comunità, che dovrebbero segnare l’avvio di nuove modalità di lavoro di gruppo, promuovendo un interscambio con l’ospedale per acuti e la medicina specialistica, ma di cui tuttavia non è ancora chiarissimo il ruolo e la funzione.

In questo scenario si inserisce la discussione su quali siano le competenze di base del Mmg nelle nuove realtà che andranno a costituirsi. Se e cosa sarà necessario cambiare del curriculum del Mmg e delle sue core competencies nei nuovi contesti che si vanno delineando rimane una questione aperta.

Iniziamo la nostra analisi partendo dal punto di vista del dottor Brignoli, che è responsabile regionale della Scuola di formazione per Mmg e conoscitore della sua storia, avendo gestito i corsi in prima persona.

Brignoli: Non credo che le competenze del Mmg debbano cambiare. I due cardini della professione del Mmg sono le competenze di tipo clinico, orientate al problem solving, e quelle relazionali, perché se è vero che il rapporto continuativo e fiduciario col paziente è fondamentale, il Mmg deve essere anche un buon comunicatore, capace di coltivare relazioni positive con gli assistiti.

Si potrebbe obiettare che le tendenze epidemiologiche in atto stanno cambiando il contesto, insieme all’invecchiamento della popolazione, l’irruzione delle nuove tecnologie e i bisogni sanitari mutati. Ma le core competencies del Mmg non cambiano, piuttosto devono adeguarsi rispetto a temi clinici nuovi: pensiamo alle fasi più acute della pandemia Covid vissute l’anno scorso, al tema delle cure di fine vita, agli aspetti etici, senza dimenticare le nuove possibilità diagnostiche offerte dalla disponibilità di strumentazioni in studio, come l’ecografo. Tutto questo, però, va ad integrare un ruolo che non è sostanzialmente cambiato.  A cambiare saranno piuttosto gli aspetti organizzativi, perché sarà sempre più frequente il lavoro in team, cui il Mmg non è abituato, e si porranno temi come quello della leadership e del rapporto con gli altri operatori sanitari.

Riguardo invece alla formazione universitaria del Mmg, non abbiamo nessuna opposizione nei confronti dell’accademia, che può rappresentare un plus. Deve trattarsi, tuttavia, di una commistione positiva, perché alcuni aspetti della medicina generale li può insegnare solo il Mmg.

Balestrieri: Abbiamo letto con interesse l’intervento del dottor Coen sul quotidiano Domani, circa il ruolo del Mmg in relazione Pnrr, in cui sottolineava le peculiarità della formazione in medicina generale in Italia rispetto ad altri Paesi, soprattutto se paragonata alla figura dello specializzando in formazione accademica, da cui emergono differenze rilevanti, anzitutto stipendiali (800 euro mensili della borsa di studio per gli aspiranti Mmg contro i 1800 euro per gli specializzandi).

I futuri medici di famiglia, inoltre, seguono una formazione a dimensione regionale, e la mancanza di un ambiente accademico forse non garantisce quella dimensione più aperta ed esposta a influssi di tipo scientifico che l’Università può assicurare. Non c’è, da ultimo, un interscambio facile tra Scuole di specialità e Scuola di medicina generale.

Per questo sta crescendo la richiesta di un percorso accademico per le cure primarie. Già oggi, peraltro, esistono alcune Scuole di specialità in Cure primarie in alcuni atenei come Padova, Napoli e Bologna.

In tanti anni di lavoro nei Dipartimenti di Emergenza, quale idea ti sei fatto del rapporto con la medicina generale nei pazienti che hai visto affluire al Pronto soccorso?

Coen: Inevitabile rispondere che lo specialista vede il Mmg come uno che non fa mai abbastanza e manda a lui i pazienti. Credo però che proprio l’evoluzione della Medicina d’urgenza abbia una lezione da offrire: quando io ho iniziato eravamo considerati gli ultimi, gli specialisti ci guardavano dall’alto in basso, perché a loro vedere non ci assumevamo delle responsabilità e non eravamo in grado di definire in modo più preciso cosa fosse il nostro mestiere: dire urgenza era poco.

Abbiamo capito che quello era il momento di cogliere l’occasione per proporre un progetto di crescita: assumere delle responsabilità e diventare professionisti al pari degli altri specialisti.

Il mio invito ai Mmg è “Pensate grande”. Perché questo è un momento in cui avete occasione di crescere e assumere un ruolo culturalmente e praticamente di pari grado agli altri medici. Tutto ciò passa non attraverso le dichiarazioni generali ma le cose che uno fa, e naturalmente dalla formazione, che dovrebbe avvicinarsi a quella degli specialisti, con gli stessi modelli, stessi stipendi, stesso accesso alla letteratura scientifica internazionale.

Platto: La provocazione è significativa, uno degli obiettivi della medicina generale è quello di gestire la cronicità per evitare che questa evolva e crei condizioni di rischio, pericolo o acuzie per il paziente. Non è vero che non si è fatto niente, nel tempo soprattutto nel Bresciano sono state elaborate modalità operative importanti, pensiamo ai Pdta su problematiche come diabete, scompenso, demenza. Attualmente non più oggetto di lavoro costante, i Pdta vanno rimessi all’interno di una modalità di formazione nuova e diversa.

Parlando di queste priorità è opportuno ricordare che la formazione per diventare Mmg riguarda 100-150 medici in Lombardia ogni tre anni. Il nostro impegno deve andare oltre, allargandosi a un nodo centrale e ineludibile che è l’investimento per riqualificare l’esistente: c’è infatti un complesso lavoro di ri-formazione che deve essere fatto sulla medicina generale già attiva. E non vedo alternativa che mettere attorno a un tavolo specialisti e Mmg per fare percorsi condivisi.

Di Stefano: Un primo passaggio essenziale è prevedere che durante il corso di Medicina si incominci a parlare di medicina generale. Che uno studente sappia cosa succede se decide di prendere quella strada. Sul modello del corso di Medicina delle Cure primarie attivato ad Harvard, sogno un Dipartimento di Cure primarie cui partecipa chi ha fatto il Mmg sul campo.

Resta sullo sfondo un timore: che ci possano essere resistenze da parte dell’accademia a non ingerirsi in queste nuove specialità. Il rischio che non possiamo permetterci è che un nuovo progetto sulle cure primarie si risolva in un’occasione per assegnare qualche incarico.

Castelli: L’accademia non è restia a queste aperture, ma probabilmente non è ancora del tutto pronta. L’Università italiana è articolata su un inquadramento a canne d’organo verticali, in base al settore scientifico disciplinare. Quello di medicina generale sul territorio oggi non c’è, per realizzarlo servirebbero cambiamenti strutturali che richiedono tempo, e che all’interno dell’Università non sono assolutamente facili. Ma a noi farebbe solo piacere avere un Dipartimento di Cure primarie, e poter contare su chi le conosce è essenziale.

Un altro aspetto di cui tenere conto è che abbiamo sempre meno medici di medicina generale: i colleghi che entrano nella scuola di Medicina generale non sono sufficienti a rimpiazzarli, mentre per chi sceglie la formazione accademica il numero delle borse di specialità è enormemente aumentato.

E’ stato detto che spetta ai Mmg delineare con proposte quello che vorranno essere. Ma è necessario pensare non alle esigenze dell’oggi, piuttosto a quelle che si evidenzieranno tra 10-20 anni, perché un percorso formativo compiuto inizia adesso ma si conclude molto più avanti nel tempo.

Da ultimo, è opportuno un cenno alla formazione del medico. Come Università è indispensabile interrogarci su cosa non siamo in grado di dare, e su come si potrebbero inserire più competenze, ad esempio sulla relazione medico paziente: oggi il nostro corso di laurea in Medicina richiede certamente un ripensamento, con l’introduzione di nuove competenze e con la ottimizzazione di altre.

Coen: La “fuga” non è solo dalla medicina generale ma anche dall’ospedale: c’è tanta gente che sta fuggendo anche dal mio settore. Per cambiare le cose, diamo la possibilità di intraprendere una formazione in medicina generale che abbia lo stesso valore delle altre specialità. Iniziamo a parlarne prima della laurea, prevedendo nei tirocini pratici anche la medicina generale.

Immaginando una transizione della formazione in medicina generale verso l’ambito universitario va tenuto presente che in due o tre atenei è attiva una specializzazione in Medicina di comunità, che non è in cure primarie ma potrebbe avvicinarsi. Se aumentassero gli atenei con questa specialità, e l’attestazione per chi esce da lì avesse lo stesso valore dell’odierno corso di formazione in medicina generale, avremmo due strade parallele, di cui una nuova, e la possibilità di scegliere o l’una o l’altra. Fare delle sperimentazioni in questa direzione potrebbe essere il lavoro sull’orizzonte dei prossimi quattro o cinque anni.

Bettoncelli: E’ paradossale che a distanza di più di 40 anni dalla legge 833 che ha posto al centro del sistema la medicina generale siamo ancora a chiederci quale formazione debba avere questo medico per svolgere adeguatamente il suo ruolo.

Se oggi vogliamo parlare di quale sia la formazione adeguata per il Mmg dobbiamo fare alcune considerazioni, chiedendoci innanzitutto: cosa dev’essere questo professionista? Nella formazione “ospedalocentrica” esistono vari gradi di Evidence based medicine, che poggia su un terreno solido di riferimento, condiviso, messo in pratica tutti i giorni nei reparti. Fuori dall’ospedale la situazione è completamente diversa, e il tentativo di trasferire un paradigma validato scientificamente per l’ospedale non funziona al di fuori di quel contesto.Il lavoro del Mmg, infatti, si basa su una quota straordinariamente ampia di esercizio empirico della professione. Un punto di contatto emblematico tra i due mondi lo ha offerto l’esperienza della pandemia, che soprattutto nella prima ondata ha posto la medicina specialistica e ospedaliera nelle condizioni di non saper cosa fare nei confronti dei pazienti con Covid, e nella necessità di adottare un metodo empirico. In quel momento ci si è chiesti quale sia la “regola” fuori dal contesto normato dell’Evidence based medicine. Ecco, la medicina generale si trova molto spesso in queste condizioni.

Del resto quello che si chiede alla medicina generale è una responsabilità verso il singolo, ma anche in termini di popolazione. Verso il singolo possiamo cavarcela, mentre per farlo verso la popolazione serve una formazione apposita, al momento inesistente.

E’ intuitivo come non sia la stessa cosa gestire venti letti in ospedale e prendere in carico 1600 persone fuori, di cui alcune stanno bene, altre sono molto malate, e obbligano a confrontarsi con la complessità per multipatologie e multiterapie, a fronte di una formazione universitaria che non insegna nulla della metodologia di deprescribing se la terapia risulta obiettivamente insostenibile.

E ancora: qual è lo standard ottimale di controllo di una malattia cronica? (anche queste competenze dovrebbero rientrare in un programma di insegnamento della medicina generale). Siamo pronti dal punto di vista clinico, organizzativo, di standard di popolazione?

Viene da chiedersi, in conclusione, se tutto questo interessa a qualcuno, o se piuttosto non stiamo andando verso una deriva di tipo privatistico-commerciale per cui chi ha avrà e chi non ha si arrangerà.

Balestrieri: Il margine di errore è qualcosa di connaturato nel nostro lavoro. L’idea dell’incertezza, l’umiltà nell’approccio ai pazienti sono un elemento formativo che negli ultimi decenni è forse andato smarrito.

Brignoli: E’ vero che gran parte delle pratiche quotidiane non sono sostenute dall’Evidence based medicine, ma la storia e la practice medicine rappresentano elementi che possono diventare un possibile riferimento.

Restano tuttavia questioni aperte: davanti a un paziente diabetico dove parte e dove arriva il Mmg? E cosa devo fare per arrivare fino a lì? Il problema è cominciare a definire questi aspetti, focalizzare il contesto in cui la medicina generale deve muoversi.

Serve costruire un percorso nuovo, ma ad oggi non abbiamo ancora ben definito la professione: ecco il perché di questo limbo poco chiaro anche sulla formazione.

Castelli: Spesso, anche da parte delle istituzioni sanitarie e dagli organi ministeriali, l’Università è stimolata ad andare verso la medicina di precisione, a formare il medico alla ricerca, le nuove tecnologie, la robotica, l’imaging più sofisticato, l’intelligenza artificiale. E questa è cosa certamente positiva. Poi però il medico è quello che deve affrontare i problemi quotidiani delle persone, conoscere la comunità dove vive.

In questo pendolo che oscilla fra due poli opposti ci si perde. Come facciamo a capire qual è il medico che serve di più al nostro territorio? L’accademia si interroga sulle migliori, ma talvolta deve affrontare stimoli così diametralmente lontani che risultano faticosi da implementare.

Coen: La risposta a queste domande deve venire dalla medicina generale, che è più empirica della medicina specialistica, ma non è solo empirismo. Alcuni elementi di Evidence based medicine vanno saputi: devono far parte di un aggiornamento costante, certamente attraverso i corsi, ma vanno acquisiti anche mediante una formazione continua individuale, che richiede studio e applicazione. Questo è il punto base, da adattare al setting della medicina generale, che deve diventare sempre di più una medicina proattiva.

Di Stefano: Dai molteplici contributi offerti appare evidente che stiamo affrontando un problema molto difficile da risolvere. Io non sono così pessimista, anche se sono convinto che per migliorare la formazione ci vorrà tempo.

Riguardo alle Case di comunità, non credo vadano pensate come un semplice poliambulatorio, che comunque darebbe dei benefici. La Casa di comunità sarà lo snodo su cui costruire quel rapporto di équipe, importante sia dal punto di vista prestazionale che intellettuale. Questa è la grande scommessa che non dobbiamo perdere. Discutere, disporre di strumenti di aggiornamento, interagire con altre figure professionali e con il sociale: queste nuove realtà dovranno essere il nucleo in cui i professionisti di varie discipline si incontrano e affrontano i temi più spinosi.

Balestrieri: La fuga dagli ospedali, soprattutto dalle situazioni più esposte, l’interesse per specialità dall’impegno non troppo coinvolgente, la situazione ad esempio dei pediatri ospedalieri che stanno diventando una merce rarissima sono tutti elementi di preoccupazione per il futuro, e pongono un interrogativo ineludibile: come far sì che i giovani considerino la medicina non dico come una missione, ma come un lavoro che non è come gli altri, perché comporta un particolare impegno intellettuale e al contempo pratico, richiedendo tempo e un investimento culturale e psicologico diverso dalle altre professioni. Anch’io, tuttavia, sono ottimista, e ritengo che il punto di ripartenza siano proprio le condizioni di lavoro, che vanno migliorate e rese attrattive.

La versione integrale del Forum sarà pubblicata sul numero di Brescia Medica di prossima uscita

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