Il medico di medicina generale (MMG) vive dall’inizio del secolo un periodo di disagio che cova sotto la cenere e si manifesta perlopiù con “sfoghi” sui social media che tradiscono un misto di risentimento, demotivazione e rassegnazione. Per descrivere questo clima emotivo e cognitivo collettivo, di cui una riforma efficace dovrebbe tenere conto, può essere utile la nozione powerlesness, che connota il vissuto di quanti si trovano in un contesto lavorativo giudicato svantaggioso, demotivante, frustrante, limitante l’autostima e il contributo creativo all’organizzazione (Piccardo,1994). Questa percezione può sfociare in comportamenti apatici, difensivi o rinunciatari fino all’estremo del burn-out e della defezione individuale dall’organizzazione (Belleri, Casolari, 2000).
Alla base di questo vissuto sta una svalutazione professionale tanto subliminale quanto pervasiva, che si manifesta, nella cornice della crisi della relazione fiduciaria e nel tramonto della dominanza professionale medica, con comportamenti individuali e dichiarazioni pubbliche (Asioli, 2020). Emblematica è quella del ministro Giorgetti che a fine estate 2019 osservava: “Nei prossimi 5 anni mancheranno 45 mila medici di base, ma chi va più dal medico di base, senza offesa per i professionisti qui presenti? Nel mio piccolo paese vanno a farsi fare la ricetta medica, ma chi ha almeno 50 anni va su internet e cerca lo specialista. Il mondo in cui ci si fidava del medico è finito”.
Di analogo tenore sono alcune campagne di stampa sviluppatesi nell’ultimo anno per denunciare le presunte carenze e le “colpe” della MG nella gestione della pandemia, che ne hanno ulteriormente minato l’immagine pubblica in forza di facili generalizzazioni e distorsioni comunicative. Il disagio è emerso pubblicamente con il combinato disposto di due tendenze in atto: l’uscita pensionistica anticipata, con la conseguente carenza assistenziale in molte zone, e la crisi vocazionale degli accessi al Corso di Formazione Specifica in MG.
Questa sorta di sindrome collettiva da perdita di ruolo ha radici socioculturali e basi epistemologiche riconducibili all’interazione tra alcune tendenze:
- L’incessante sviluppo tecnologico e scientifico comporta l’obiettiva difficoltà per i professionisti di mantenersi al passo del rinnovamento delle acquisizioni teorico-pratiche. La proliferazione della tecnologia biomedica spinge lo specialista verso una ulteriore settorializzazione della professionalità che si focalizza attorno a specifiche tecniche diagnostiche e/o terapeutiche (Ardigo, Mazzoli,1994) ed emargina il generalista per sua natura non-specialista e con una vocazione olistica biopsicosociale.
- Con l’irruzione del Web si è parzialmente rotta l’asimmetria informativa tra medico e paziente in proporzione diretta all’affermazione della disintermediazione offerta dalla rete e dal tramonto della tradizionale dipendenza paternalistica. Ciò si traduce, da un lato, in maggiore autonomia del paziente divenuto “esigente” e in certi casi rivendicativo fino all’uso strumentale della revoca e, dall’altro, nel by-pass delle cure primarie a favore di risposte specialistiche sollecitate da un’ampia offerta sul “mercato” privato di prestazioni sanitarie a compensazione della carente disponibilità pubblica.
- L’evoluzione del sistema sociale e sanitario è guidata dalla suddivisione in sottosistemi; la logica che spinge verso una crescente differenziazione funzionale è il tentativo di affrontare e ridurre la complessità ambientale con una speculare segmentazione del sapere e delle pratiche. Ogni sottosistema funzionalmente differenziato della società è orientato ad un proprio codice, a criteri valutativi, a schemi cognitivi e routine operative che garantiscono l’autonomia rispetto agli altri sottosistemi (Baraldi, 1994). La risultante della differenziazione in ambito medico-sanitario è la moltiplicazione delle sotto specialità all’interno di ogni branca medica e la proliferazione di nuove professioni sanitarie formalmente riconosciute e regolamentate dallo Stato. Di conseguenza, come afferma Ardigò, in un sistema complesso “la risposta specialistica tende sempre a prevalere su quella a minore differenziazione” (Ardigò, 1990) con intuibili risvolti sul triangolo relazionale paziente-MMG-specialista (ad esempio con l’introduzione di Piani Terapeutici per farmaci di prescrizione specialistica e preclusi al MMG). La differenziazione funzionale comporta il rischio di effetti indesiderati, come la divaricazione tra pratiche tecno-specialistiche ospedaliere e gestione olistica della cronicità sul territorio (Asioli, 2019). Con questa chiave interpretativa si può leggere il profilo “residuale” del MMG, proposto alla stregua di un impiegato esecutivo che la burocratizzazione del sistema enfatizza.
- Il paradigma di semplificazione costituisce lo sfondo culturale e cognitivo delle tendenze sopradescritte (Morin, 1993). Due sono i suoi pilastri che orientano l’azione e la conoscenza: il principio di disgiunzione e quello di riduzione. Per conoscere un oggetto occorre innanzi tutto disgiungerlo, separarlo rispetto all’ambiente: la conoscenza è tanto più solida quanto più è decontestualizzata e standardizzata mentre la varietà, unicità, complessità del contesto sono considerati irrilevanti o fattori di disturbo per il dispiegarsi della razionalità tecnica (Schoen, 1994). Secondo il principio di riduzione per conoscere un aggregato di parti è sufficiente la conoscenza approfondita dei suoi costituenti elementari dai quali si può dedurre il comportamento del tutto.
La risultante di queste tendenze mina alle basi il (decantato) ruolo centrale del MMG, ne erode l’immagine professionale e la legittimazione sociale, e spiega la problematica integrazione tra dimensione tecno-specialistica ed approccio bio-psico-sociale e culturale, anche per la proliferazione dei vincoli normativi e controlli prescrittivi della cosiddetta “medicina amministrata” conseguente alla deriva manageriale dell’organizzazione sanitaria. Tuttavia, il presupposto per il rilancio del territorio e dell’integrazione tra “un sapere specialistico con uno di tipo olistico che considera le persone nella loro globalità” (Bertin, 2015, p. 19) sta nella legittimazione reciproca tra professionisti dell’area specialistica e delle cure primarie che rinunci alla “colonizzazione del territorio con la stessa cultura di governo utilizzata nella gestione dei sistemi ospedalieri” (ibidem, p. 28). Riuscirà la riforma lombarda a rilanciare la medicina territoriale incidendo positivamente su questi nodi problematici?
Bibliografia
- Ardigò A., Mazzoli G. (a cura di): L’ipercomplessità tra socio-sistemica e cibernetiche, F.Angeli, Milano, 1990.
- Asioli F., La relazione di cura, Difficoltà e crisi del rapporto medico-paziente, Franco Angeli, Milano, 2019
- Baraldi e coll,: Luhmann in glossario, Franco Angeli, Milano, 1994
- Belleri G, Casolari L:, Il disagio del MMG e il burn-out: analisi psicosociale e prospettive in Pellegrino F. ( cura di) La sindrome del burn-out, Centro Scientifico Editore, Torino, 2000
- Bertin G, Bertin G. “Evoluzione o cambiamento dei sistemi sanitari: verso un nuovo paradigma”, in AA.VV. Medicina specialistica e Community care, Venezia, Ed. Ca Foscari 2015.
- Morin. E.: Introduzione al pensiero complesso, Sperling e Kupfler, Milano, 1993.
- Piccardo C.: Empowerment, Cortina, Milano, 1994.
- Schoen D, Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Dedali, Bari, 1994
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