La “paziente” è la più anziana, 84 anni, nubile, l’altra, la sorella, “sana” ne ha 80, è coniugata e senza figli. Vivono in due appartamenti comunicanti al primo piano in un’abitazione di loro proprietà, “una casa grande”, al pianoterra c’era un bar, ora chiuso, il secondo piano è sfitto.
La più giovane è preoccupata della salute della sorella (“ieri notte non l’ho mai sentita alzarsi per andare in bagno e così ben due volte sono andata a controllare se respirava”).
La “sana” mi fa sempre la stessa domanda, se la sorella è davvero malata di Alzheimer, come un medico le ha diagnosticato due anni fa, oppure se abbia solo un comportamento opportunista, perché le fa comodo essere servita (“quando ha voglia di capire, capisce benissimo”).
Si sente responsabile, non potrebbe venir meno a un impegno morale preso verso la sorella non sposata. La madre era diventata “folle” dopo la morte del figlio di 15 anni, il fratello, investito in bicicletta. Da quel giorno “non aveva più avuto i corsi”, non era più uscita di casa, non si era più alzata dal letto; l’avevano accudita per più di venti anni.
La “paziente” quando inizia a parlare è un fiume in piena, ha certamente perso la memoria, è ripetitiva, ma il pensiero si mantiene logico.
Ieri in ambulatorio, alla fine della visita, hanno detto che leggono sempre gli articoli che pubblico sul Giornale di Brescia.
La “paziente” mi ha fatto i complimenti dicendo che si capisce che mi interessa e conosco la psiche delle persone, specie quella femminile, “sa dottore me ne intendo, anch’io so quello che hanno nella testa le donne, ho fatto la parrucchiera per quasi cinquant’anni, le mie clienti oltre a farsi fare lo shampoo parlavano molto”.
I pazienti con le loro “storie” ci aiutano a capire gli altri e noi stesssi. Bisogna saper ascoltare. Grazie a Renzo Rozzini per questa condivisione.